Qui prodest Fiera del Gusto

Il successo numerico dei visitatori del Salone del Gusto è un dato di fatto inconfutabile, quasi mastodontico.

Resta da chiedersi a chi convenga questo enorme show dedicato al gusto

Agli organizzatori di certo per aver ricevuto denaro da espositori e vsitatori

A Slow Food che continua a mostrarsi in posizione centrale nei media per tutto quello che riguarda il mondo del food

Agli espositori forse … ai produttori … forse …

Ai visitatori … forse

Qualche parere sparso dai blog per la discussione
NDB: l’uso erroneo della forma latina qui prodest è voluto a finalità provocatorie …

Via Un tocco di zenzero (compresa la foto)

L’affluenza è stata davvero impressionante, soprattutto nella giornata odierna.. Un mare di persone in coda all’ingresso, agli stand, nei ristoranti! Tutti affannati alla ricerca di assaggi gratuiti,

Via il cavoletto di Bruxelles

Grande bolgia mi avevano promesso e grande bolgia ho trovato. Dopo il primo pomeriggio di full emersion al salone del gusto mi sento sopratutto… rimbambita! :-) Insomma c’è di tutto, anzi verrebbe quasi quasi da togliere il ‘di’, e mentre mi riprendo un po’ di fiato (e che decida delle spesucce da fare – e se farle, essendo senza cucina, mumble..), lascio un paio di morsi strappati qua e là, specie nell’area street food, uhps pardon, cibo di strada

Via Cuochi di carta

Sto scoprendo che chi paga il biglietto, a fronte delle sconfinate dimensioni dei diversi padiglioni del salone riesce (forse) a vedere tutto una volta sola. Se poi non ha l’accortezza di fare parecchie pause, rischia di gustarsene veramente solo una parte.
Gli espositori non potendosi muovere dai loro stand vedono ben poco. Alla fine forse gli unici che girano veramente tanto (a parte i volontari di slow food) sono gli operatori dell’audiovisivo Però mi sono accorto che l’obbiettivo ti isola completamente da quello che ti circonda. Sei talmente concentrato su soggetti, luci e inquadrature che non ti rendi nemmeno conto di dove sei.

Via Corsari del gusto

Di fatto si stanno delineando (la forbice) due stili di intendere il cibo. Uno industriale, fatto in catena di montaggio ed uno fatto dalle mani dell’uomo. Io lavoro in quest’ultimo. Ho fatto le mie scelte, pagando di tasca mia successi ed insuccessi. Come tanti onesti imprenditori è una vita che pago. Continuo a credere in una economia liberale fatta da uomini leali, non ho detto cardinali! Lealtà ed onestà: ci credo ancora! Non ho accettato di divenire schiavo dell’agroindustria e non intendo accettare divenire schiavo di qualsiasi altra organizzazione anche se buona, pulita e giusta e, purtroppo, mi sembra che qualcosa si muova in questo senso. Chi ha fuitato il business del cibo buono e pulito non mi convince affatto anche se osannato dai media e, mi sembra, da tutta la stampa del settore. Mai una intervista ad un contadino-produttore, sempre ai soliti, fotogenici, personaggi. Ci fanno intendere solo e sempre che va tutto bene, che tutto funziona. Ma, chi lavora dietro le quinte, sa che non è così. Però sembra che ci si sia arresi alle ingiustizie. Pur di apparire nell’orgia dell’ mondo perfetto si strapaga e si è disposti a tutto. L’immagine prima di tutto

Via Marchi di gola

con il primo lasciato troppo al suo (nuovo) destino di super bancarella, quando tutto è partito dal Salone e che proprio per questo non andrebbe ridotto a una fiera dell’artigianato goloso. In fondo le eccellenze di dieci anni fa (ricordo che c’era chi letteralmente scopriva l’esistenza del culatello), sono la norma dei banchi-vendita del salone di oggi e tanti che lo visitano sembrano lì solo per arraffare il più possibile, possibilmente senza spendere e senza nemmeno informarsi sui perché certi prodotti sono lì e altri no. Pagano il biglietto d’ingresso e si sentono in diritto di arraffare e a Terra Madre nemmeno si fanno vedere (per fortuna sia chiaro) perché lì ci si nutre innanzi tutto di idee e di cultura.

Via Papero Giallo

Il Salone sono le scolaresche che vengono scaricate il mattino al Lingotto e affollano il piazzale davanti agli ingressi in attesa che alle 11 si aprano i cancelli. Il Salone sono i delegati stranieri che stanno in fila davanti all’ingresso di Eataly in attesa che apra per vedere da vicino il grande magazzino di cui tanto si parla nel mondo e quando sono dentro fotografano tutto e comprano le borse di tela. Il Salone è Street Food con il cibo da strada e la fila davanti ai panini con il lampredotto, davanti ai panini con la milza e davanti alle piadine.
Il Salone è Terra Madre, i mille volti che vengono da un altrove lontano e si incontrano a Torino in una sede separata, distaccata, dove stanno anche i Presidi, a prefigurare qualcosa e non a rappresentare una collocazione forse sbagliata. Il Salone la sera si polverizza nei mille locali di Torino e della regione. E’ sforzo gastrico e polmonare. E’ unico ma un po’ stanco.

Via resistenza enogastronomica

Il Salone del Gusto, Petrini, Eataly e patron Farinetti ormai posti sugli altari da coldiretti ,politici e industriali , hanno sicuramente il merito di aver dato grande impulso alla conoscenza del mondo agroalimentare e alle problematiche legate alla produzione e trasformazione del cibo.
Mi sembra però che la prima chiocciola slow-food dopo aver fatto tanta strada nella difesa dei piccoli produttori abbia perso un po’ della sua genuinità e originalità,rivelando incongruenze e strani compagni di viaggio.

Dal palco di Terra Madre Petrini dice che la comunità politica mondiale ha salvato le banche e non i denutriti. Ricordiamo a Petrini che sono state salvate banche e aziende senza le quali lui non sarebbe lì a parlare, quindi decida da che parte vuole stare.Gli obiettivi di Slow-Food & Company ormai sono il venduto ,la promozione,l’esportazione ,si tratta di una operazione commerciale, nessuno si scandalizza, però per favore chiediamo l’onestà intellettuale dei media che non venga tutto spacciato come “missione per salvare il mondo” o “evento etico”.

Via Entropy isn’t what it used to be.

Il povero mangia da Mc Donald’s, il povero non mangia di sicuro il cardo di Nizza o il formaggino di capra del Mead. Anche se quello appartiene alla sua storia ed alla sua tradizione.

Una tradizione che non gli appartiene più, espropriata. Perchè per stare dietro alla tradizione dovrebbe svenarsi e nella scala dei bisogni il gusto del cibo slow-food-eco-sostenibile-sapore-della-terra viene ben dopo il bisogno primario di NU-TRIR-SI.

Siamo allo snodo di una contraddizione dove s’incontrano uno dei bisogni primari con la nostra sofisticazione da europei ricchi e, si spera,in grado di capire cosa c’è dietro e non d’ingozzarsi unicamente perchè fa fighett-modaiolo.

Ho visto e ricordo i primi due Saloni del Gusto: il bengodi del cibo d’elite. Solo che il bengodi allora offriva gli assaggi gratis ed un affollamento sostenibile. Nonchè una percentuale di tamarri molto vicina allo zero.

Oggi il rischio è svenamento in mezzo a folla strabordante cum tamarro danaroso. Perchè oggi quel cibo fa status. Siamo partiti dalla riscoperta dei sapori  e dei cibi tradizionali per approdare sulla spiaggia del fighettismo.

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