Mario Calabresi: i giornalisti sono al servizio dei giornali e i giornali dei lettori

Il primo editoriale da direttore di Mario Calabresi: L’esempio di Torino nel mondo in crisi

lastampa-30aprile-2009Viviamo tempi inaspettati: l’automobile italiana va in soccorso di quella americana, un giovane afroamericano guida la nazione più potente del mondo, in pochi mesi è stata bruciata più ricchezza che in due guerre mondiali. L’incertezza è la cifra delle nostre vite e anche i giornali sono divisi tra la passione di raccontare una stagione eccezionale e la paura per una crisi che non li risparmia. Nel mondo occidentale c’è chi chiude i quotidiani, chi scommette sulla loro scomparsa  chi si ostina a credere, tenacemente, che proprio in mezzo alle difficoltà si debba guardare lontano. Immaginare sfide completamente nuove. «Non è importante quante volte cadi ma quanto in fretta ti rialzi», recita un motto popolare negli Stati Uniti: farlo proprio significa cercare di vedere possibilità e occasioni nelle avversità.

Così nella crisi globale della carta stampata, davanti alla necessità di ripensare i modelli tradizionali di giornalismo, Torino, casa di questo giornale, può esserci di esempio: si era persa nella fine della città fabbrica, ma ha trovato la forza di ripensarsi e di rinascere diversa, piena di fermenti e di energie nuove. Si parla molto del declino dei giornali e non possiamo negare che la tecnologia moltiplica le possibilità di ricevere informazioni e riduce i tempi dedicati alla lettura, ma poi ogni mattina oltre trecentomila persone ripetono il gesto di comprare La Stampa. A tutto questo dobbiamo provare a dare risposte: il flusso quotidiano su Internet, le notizie più fresche sui cellulari e le e-mail, mentre il senso della giornata troverà ancora il suo approdo naturale nella carta stampata.

Diversi i supporti, identici i valori di fondo, quelli che si sono tramandati per quasi un secolo e mezzo: l’amore per il lavoro fatto con cura, l’etica della responsabilità, i fatti, non le ideologie. Così come la fedeltà alla tradizione laica, da intendersi come rispetto delle posizioni, delle idee, delle fedi. La Stampa continuerà ad essere un giornale con le sue radici in Piemonte, in Liguria e in Valle d’Aosta, ma che non rinuncia a parlare al resto dell’Italia e a raccontare cosa accade a Napoli e a New York, a Parigi e a Pechino. Il segreto di questo giornale è di non essersi mai chiuso nel suo territorio ma di aver raccolto gli stimoli migliori che venivano da tutto il Paese e dall’altra parte delle Alpi.

Ho avuto la fortuna di seguire Barack Obama, Presidente da cento giorni, in giro per gli Stati Uniti negli ultimi due anni e al di là delle sue parole d’ordine, «Speranza» e «Cambiamento », trovo che la sua vera forza sia la capacità di guardare avanti, di non farsi ingabbiare dentro schemi ideologici che appartengono ad un altro secolo. «Sono convinto – ha scritto nel suo libro più famoso – che ogni volta che esageriamo, demonizziamo o siamo arroganti, siamo condannati alla sconfitta. Sono la caccia alla purezza ideologica, l’ortodossia rigida e l’eterna prevedibilità del dibattito che ci impediscono di vedere le sfide che abbiamo davanti». Lasfida per i giornali è oggi quella di riuscire a decifrare la complessità offrendo chiavi di lettura. È di essere credibili, affidabili, corretti e curiosi. Il giornalismo non è intrattenimento, tanto menol’inseguimento dell’ultima stranezza: mi sta a cuore che si spieghi se la febbre suina è davvero pericolosa, senza cadere in un sensazionalismo fine a se stesso, o se un terremoto può essere previsto senza farsi condizionare dalle convenienze politiche.

Adesso per me comincia un’avventura nuova come direttore di questo giornale, e ho un doppio debito di gratitudine verso Giulio Anselmi non solo per avermi lasciato un giornale bello e autorevole, ma anche per aver creduto in me quando mi assunse all’Ansa diventando il mio primo direttore. Il direttore che invece non ho mai avuto è stato IndroMontanelli. Quando vent’anni fa mi chiese se volevo fare il praticante, non ne avevo l’età e stavo iscrivendomi all’università, però poi mi regalò una passeggiata nei giardini di Porta Venezia, a Milano. Di quella camminata mi piace ricordare la sola cosa che secondo lui avrei dovuto stamparmi in testa: «I giornalisti sono al servizio dei giornali e i giornali dei lettori. Chi pensa il contrario farebbe bene a cambiare mestiere».

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5 commenti su “Mario Calabresi: i giornalisti sono al servizio dei giornali e i giornali dei lettori”

  1. Concordo con ciò che Lei ha scritto. E mi piace, da torinese, l’accenno a città laboratorio – etichetta che tuttavia Torino si porta dietro da anni, insieme al logo Fiat – . Sicché, spero che Lei, dottor Mario Calabresi, sappia dare il giusto risalto anche ai blogger e ai piccoli e modesti scrittori che fanno parte di questa autorevole testata: attori, o più propriamente comparse, di questo Suo nuovo palcoscenico, capaci di trovare – in modo inaspettato – spazi in altre autorevoli testate giornalistiche. Forse, quest’ultime, un po’ più attente agli umili, proprio come promesso dal Presidente Obama, da Lei citato, in campagna elettorale.

    Un sincero “In bocca al lupo!” e buon lavoro.
    Antonio Cracas

  2. Pingback: You Calabresi
  3. Non è laureato Mario Calabresi? Apperò. Rimane comunque un discreto giornalista, forse un po’ sopravvalutato. Certo, con la concorrenza che c’è in giro, Calabresi può dormire sonni tranquilli. Tra i giornalisti italiani ci sono ormai tante di quelle capre (e magari pure laureate) che forse basta in fondo un pizzico di normalità che fa sembrare straordinari.

    R.

    Ps
    Aiutino di chi? La brillante carriera di Calabresi a chi è dovuta? sulla carriera dei peones berlusconiani, possiamo immaginare. Ma su Mario Calabresi? :)

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