Padellaro fa il punto sul Fatto Quotidiano

Via Affari Italiani

Messi da parte i fuochi d’artificio del primo giorno, a che tiratura viaggiate ora?
“La media è sulle 85mila copie. Ma in giornate particolari, come quella successiva alla bocciatura del Lodo Alfano, possiamo toccare anche quota 115mila”.

Beh, di che si lamenta?
“Di niente. Pensi che il nostro obiettivo per stare a galla erano 10mila lettori. Ma, me lo lasci ripetere, escludo che questo sia un giornale da 100mila copie al giorno. Per averne anche la metà, andrei al Santuario della Madonna del Divino Amore a piedi”.

Una bella passeggiata. Che magari le verrà risparmiata dagli abbonati al giornale. 36mila, giusto?
“No, sono saliti. Ora siamo a 42mila”.

….

E perché comprano Il Fatto?

“La mia impressione è che ci sia una forte componente d’appartenenza. Molti ci vedono come un giornale indipendente da qualsiasi potere politico-economico e ci comprano come testimonianza di una loro voglia di libertà”.

Andiamo, confessi: a chi sta rubando lettori?
“A nessuno! Il bello dei giornali italiani è che tutti sono col segno più! Tutti i quotidiani vantano delle cifre fantastiche, hanno un successo magnifico. Ne siamo molto felici, ecco”.

Passiamo alle critiche che vi vengono rivolte. Numero uno, la distribuzione. Siete ancora parecchio assenti al Sud.
“E’ vero. Ma le anticipo che l’espansione della distribuzione sarà all’ordine del giorno del prossimo cda dell’azienda”.

Prima critica aggirata. Seconda: i refusi. Un giorno c’era un “Abbruzzo” con due b. E dai…
“I refusi ci sono, è inutile prendersi in giro. Ma le anticipo anche che ci stiamo attrezzando per prevenirli. Presto chiameremo dei correttori di bozze. E poi, mi perdoni, ma siamo pochissimi”.

Immagino. Quanti siete?
“Io faccio un giornale con un desk di dieci-undici giornalisti, anche perché eravamo partiti pensando di vendere 10mila copie. Tant’è vero che all’inizio le pagine erano sedici. Ora sono salite a venti. E di qui, nonostante le pressioni che vengono dalla redazione, non mi schiodo”.

E perché?
“Perché, al momento attuale, non le sosterremmo. Dobbiamo misurare bene le energie, non strafare per non ritrovarci col fiato corto. E poi noi abbiamo un problema enorme. Sa a che ora chiudiamo il giornale?”.

Alle 23?
“Macché. Noi dobbiamo chiudere per le 21 spaccate. Nei centri di stampa abbiamo una finestra temporale che chiude verso le 22 e 30. Poi bisogna far spazio agli altri giornali, come La Stampa o Libero. Ogni sera ci ritroviamo tutti con la lingua di fuori. E a me stanno saltando le coronarie. Per questo stiamo pensando di sfruttare un terzo centro di stampa, che si aggiungerebbe a quelli di Milano e Roma”.

Passiamo alle altre obiezioni: c’è chi trova la grafica del Fatto un po’ retrò.
“Mah, ce l’hanno detto in molti. Premesso che il nostro Paolo Isidori è uno dei migliori grafici italiani, può darsi che qualche caratteristica, tipo l’uso dei caratteri bastoni nei titoli, possa sembrare un po’ pesante”.

Eh, un pochino.
“Può darsi che, avendo noi immaginato un giornale di nicchia, abbiamo pensato di poterci permettere un design un po’ più sui generis. Oggi, con un’utenza più diffusa, potremmo cambiare qualcosa. Non c’è problema”.

Quindi, che cosa cambierete?
“Mah, io trovo che la prima pagina sia molto pulita. La seconda parte, costituita dalle rubriche e dalle lettere, è anch’essa elegante. Effettivamente pare un po’ disordinata la parte centrale, dedicata all’attualità. Ovviamente non per colpa dei grafici, ma di noi giornalisti, che interveniamo, modifichiamo, ecc.”.