Paola Caruso ha interrotto lo sciopero della fame

Ora il suo testimone passa ad altri in parole e opere

Sciopero della fame, quinto giorno. Fine. Oggi interrompo la protesta. Quello che ho potuto fare l’ho fatto. Ho raggiunto il mio obbiettivo: sensibilizzare l’opinione pubblica, almeno per quanto riguarda la Rete e gli organi legati all’editoria. Anche se la maggior parte della stampa tradizionale mi ha ignorata, nonostante i lanci di agenzia. Chissà perché?
Adesso è arrivato il momento di andare avanti con altri mezzi e strategie diverse per far discutere di precariato. Bisogna portare a casa risultati. Come? Rivoluzionare il sistema mi pare arduo, ma si può tentare di cambiare le regole, di dare più serenità ai precari, di garantire a tutti un lavoro dal valore monetario adeguato e  sufficiente a pagare affitto e mantenimento, senza l’aiuto della famiglia.
Purtroppo precarietà non significa flessibilità. All’estero un lavoratore flessibile ha uno stipendio superiore a quello di un dipendente a contratto a tempo indeterminato, almeno per quello che ne so. Questo permette ai flessibili di tutelarsi a proprie spese, non potendo usufruire delle tutele aziendali.


Desidero continuare a battermi sul tema, confrontandomi con chi ha il potere di garantire cambiamenti concreti. Se la mia storia diventa un esempio e spinge le istituzioni a evitare altri comportamenti del genere, avrò vinto la mia battaglia. La prima battaglia, sia chiaro. La prospettiva è di vincere la guerra.
A questo punto propongo alla Rete di cambiare l’hashtag, da #iosonopaola a #iosonoprecario e invito la blogosfera a raccontare le tante esperienze di precariato. Diamo voce a tutti. Date voce a tutti. Alle storie, alle  preoccupazioni, alle frustrazioni e ai rospi mandati giù. Anche in forma anonima. In modo che se ne parli e il problema venga a galla in maniera consistente e continua. Meglio senza sciopero della fame che vi assicuro è una forma di protesta devastante per il fisico e la mente. Parola mia.

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