Morte mediatica (e truculenta) di un dittatore

Via Ejo

Scriveva Massimo Gramellini sulla Stampadi venerdì: “Non c’è mai nulla di glorioso nell’esecuzione di un tiranno. La vendetta resta una pulsione orribile anche quando si gonfia di ragioni. Ci vogliono Sofocle e Shakespeare, non gli scatti sfocati di un telefonino, per sublimarla in catarsi. Gli sputi, i calci e gli oltraggi a una vittima inerme, sia essa Gesù o Gheddafi, degradano chi li compie a un rango subumano”.

Vale anche per la gran parte dei media, inclusa La Stampa, che hanno tramesso, pubblicato e diffuso le immagini atroci e il video del dittatore ancora vivo e gravemente ferito e successivamente morto e oltraggiato?

La foto del rais sanguinante era sulle prime pagine di tutta la stampa internazionale compresa quella italiana. Hanno optato per scelte editoriali più soft quotidiani tedeschi Frankfurter Allgemeine Zeitung e Süddeutsche Zeitung, la svizzera Neue Zürcher Zeitung e il New York Times.

Ma in generale la tendenza è stata quella di pubblicare senza veli e senza censura tutto il materiale fotografico, video e audio che raccontasse gli ultimi attimi di vita di Gheddafi.

In realtà la pubblicazione di scatti sfocati di un telefonino non aggiungono valore alla notizia e alla sostanza della morte di Gheddafi. Scrivere che è morto ammazzato in un cunicolo come un topo, come con varie sfumature linguistiche hanno riportato quasi tutti media mainstream italiani, rende già nitidamente l’idea di un uomo finito, spogliato di ogni dignità, potere, della sua stessa vita.

La pubblicazione delle immagini tende piuttosto a soddisfare la logica della mediatizzazione e della spettacolarizzazione dell’informazione e degli eventi a tutti i costi. Così come la logica editoriale dell’essere i primi a uscire e ancora quella per cui “se non la pubblichiamo noi la pubblica un altro giornale”.

Logiche proprie in particolare dei media media tradizionali ma che in occasioni come questa sono state fatte proprie anche dalla rete e dal giornalismo online che senza filtri e censure hanno anzi dettato il ritmo delle notizie e diffuso a profusione le violente immagini degli ultimi momenti di vita del dittatore libico.