Dai titoli alle vie di fatto passando dalle scuse a posteriori. Ecco perchè il giornalismo italiano perde credibilità

Via QP

“Inconsapevolmente” è parola da usare con cautela, soprattutto se a farlo sono dei professionisti della comunicazione come i giornalisti. Perchè ci hanno insegnato a non giocare con le parole, a pensarci su centinaia di volte prima di titolare un pezzo, scegliere un aggettivo, virgolettare le frasi sentite per strada, interpretare i pensieri delle persone. Non è la prima volta – verrebbe da dire – che sui quotidiani generalisti (cartacei, online, ovunque) leggiamo titoli costruiti ad arte per incendiare “inconsapevolmente” le menti della gente, del tanto coccolato uomo della strada che diventa subito un mostro non appena si scatena in lui quella “bestialità” insita in ognuno di noi, nessuno escluso. Per questo suonano un po’ ipocrite le scuse che La Stampa fa dopo aver titolato (testualmente) “Mette in fuga i due rom che violentano la sorella”: ipocrite perchè chi conosce i quotidiani italiani e il loro funzionamento conosce benissimo il meccanismo  che entra in gioco in quello che è uno dei passaggi fondamentali del prodotto giornalistico, il titolo.

Nel caso del finto stupro e dell’incendio alla Continassa la vicenda assume contorni pericolosi, che dovrebbero (ma non succederà: un’editoriale di scuse e amici come prima) portare a una riflessione profonda sulla distanza che separa la classe dei giornalisti dal ruolo del giornalista. Fatto ancor più vero quando si parla di rom, un popolo che alla totalità dei quotidiani italiani appare realmente sconosciuto (o almeno così sembra): il definirli “nomadi” è già di per sè una fesseria, mentre la scioltezza con la quale vengono sistematicamente ignorate le continue violazioni dei diritti fondamentali dei rom (a differenza di quanto accade per categorie come i pappagalli della Papuasia o gli elefantini nani della Cambogia) è imbarazzante.