Vito Crimi e il futuro dell’editoria italiana

Il sottosegretario per l’Editoria Vito Crimi risponde alla lettera aperta di Pier Luca Santoro

Ho letto con molto interesse la lettera a sua firma pubblicata su DataMediaHub e non posso che apprezzare l’approccio non ideologico, bensì oggettivo e razionale, con il quale ha affrontato il tema dell’editoria e del finanziamento pubblico. Colgo l’occasione per ribadire alcuni concetti. Anche io ho cercato di affrontare l’argomento senza distorsioni ideologiche, svestendo i panni di chi per anni ha condotto una battaglia contro il finanziamento pubblico ai giornali. Ho anzi fatto appello alla massima razionalità possibile, incontrando ed ascoltando tutti i soggetti coinvolti [e tanti altri ne ascolterò], secondo la logica del “conoscere per deliberare”.

In questo percorso di conoscenza, studio ed approfondimento del settore ho avuto conferme e talvolta sorprese.

Anzitutto, la conferma che per garantire il pluralismo dell’informazione, ovvero il diritto sancito in Costituzione ad informare ed informarsi, non si può prescindere da un intervento regolatore e incentivante da parte dello Stato. Se un intervento deve esserci, questo deve essere sistemico, tale da agire sull’intero settore industriale e non soltanto sui produttori e sugli editori.

Il sostegno di un settore industriale da parte dello Stato avviene in particolare nei momenti di crisi, spesso conseguenza di grandi trasformazioni e cambiamenti. Lo Stato agisce con il preciso obiettivo di agevolare questa trasformazione, affinché il settore si adegui salvaguardando l’anello più debole della catena: i lavoratori.

Ciò non è accaduto nel settore dell’editoria, il quale – è doveroso ricordarlo – ha potuto godere per decenni di ingenti contributi diretti e indiretti, fra i maggiori che lo Stato abbia mai riconosciuto ad un comparto industriale. Contributi, questi, di cui hanno fruito tutti e nessuno escluso. Purtroppo, questi finanziamenti sono stati destinati esclusivamente agli editori, i quali -ritengo sia evidente, ormai- non hanno saputo cogliere le opportunità offerte dal grande processo di trasformazione che ha coinvolto il mondo intero, dall’avvento della rete, del digitale e delle nuove tecnologie, delle nuove modalità di comunicazione e strumenti d’informazione oggi in uso ai cittadini. Anzi, non solo non hanno saputo cogliere l’occasione di trasformare i propri processi industriali, i modelli organizzativi e di produzione, ma hanno spesso perfino cercato di resistere al cambiamento, a volte in modo ostinato, con il tipico approccio in stile “Ha da passa’ ‘a nuttata”.

Ebbene è il momento di cambiare, di dare completa attuazione ad alcune intenzioni annunciate in passato da alcuni nostri predecessori ma mai tradotte in fatti. È il momento di adottare un approccio diverso e nuovo, più sistemico, affinché tutti gli attori del settore editoria possano essere accompagnati in un percorso di adeguamento al nuovo modo di comunicare, informare, intrattenere, fino ad essere poi in grado di camminare sulle proprie gambe  e reggere il confronto con il libero mercato.

Non può esistere un prodotto editoriale che si regge in piedi solo grazie al contributo pubblico diretto o indiretto. Dunque deve essere chiaro che la contribuzione pubblica presto sparirà.

Come ho più volte affermato e ribadito, non credo che il settore possa resistere allo shock improvviso di un cambiamento che troppe attese e tentennamenti, scarsa lungimiranza e assenza di coraggio hanno contribuito a trasformare in una tempesta, che potrebbe decretare un disastro anche in termini occupazionali. Ma si tratta di un processo oramai inarrestabile, in cui non conta più il “se”, ma il “come” e “quando”. Noi vogliamo governare il cambiamento, non esserne travolti.

È in tale ottica che si inquadra la mia intenzione di determinare con certezza – nel più breve tempo possibile [auspico entro la fine dell’anno] – come saranno indirizzati i contributi pubblici nei prossimi anni fino alla loro completa abolizione, così da concedere il tempo necessario per l’adeguamento.

Tuttavia, una volta indicata la strada, non ci saranno più proroghe o interventi all’ultimo minuto: gli attori del settore dovranno prepararsi al distacco totale dalla contribuzione statale [che sia diretta o indiretta].

Una delle prime iniziative che intendo promuovere è lo spostamento di una parte dei contributi dall’offerta alla domanda. Non mi si accusi di voler “uccidere” il mercato, tutt’altro: il mio obiettivo è invitare gli editori a produrre un’informazione di qualità che trovi l’accoglienza da parte dei lettori, incentivando la cultura dell’informazione di qualità.

Stimolare nei giovani, in particolare, la pratica di cercare e “acquistare” un’informazione di qualità, potrebbe creare i presupposti perché diventi un’abitudine, una sana abitudine all’approfondimento necessario che si accompagna alla cosiddetta “instant information” che si trova in rete.

In questo grande processo di trasformazione i giornalisti svolgono un ruolo determinante: non solo fornitori di informazioni, ma anche “opinion maker”. Un ruolo, questo, spesso interpretato con la presunzione di chi crede di avere la verità in tasca e deve convincere i propri lettori che è quella giusta. Meriterebbe invece maggior rispetto l’enorme responsabilità che questo ruolo porta con sé, ovvero saper fornire al pubblico una visione complessiva delle informazioni che si riportano, si narrano o si commentano. Non è certo compito mio discettare di etica del giornalismo e professione giornalistica, ma ritengo necessario che i giornalisti siano consapevoli della grande responsabilità che anche loro hanno nella profonda crisi della tradizionale informazione di qualità. Spesso, infatti, non risultano in grado di parlare a tutti, ma solo a quella “riserva” di propri fidelizzati lettori che in tal modo sono destinati a diminuire. Sia chiaro: i giornalisti troveranno in me sempre uno strenuo difensore della loro libertà di informazione, ma come tutti noi anche loro devono assumersi le proprie responsabilità in questa società.

Chiudo con una precisazione in merito agli edicolanti. Concordo con lei, Santoro, che deve darsi completa attuazione [ed è qui che uno Stato può intervenire con un sostegno pubblico che accompagni l’innovazione] all’informatizzazione della rete delle edicole. E concordo ancora sul fatto che devono essere coinvolte le rappresentanze degli stessi edicolanti nella definizione di accordi che li vedano coinvolti. La rete delle edicole deve trasformarsi, affrancandosi dagli obblighi residui ancora in vigore -frutto di un mercato esclusivista e regolato che non esiste più-, e deve essere messa nelle condizioni di offrire sul mercato la propria rete a chiunque [Pubbliche Amministrazioni o privati] ne faccia richiesta previo adeguato compenso, aspetto spesso trascurato.