Obituary: Marino Caldera

Quando ero piccolo piccolo e tu più grande per me eri un mito, l’artista geniale di famiglia. Quando prendevi in mano una matita o un pennello era uno spettacolo. Eri il nostro Leonardo, il nosto Dalì. Partivi a tracciare linee, curve, panorami, persone e nature più o meno morte in un modo che noi comuni mortali non capivamo neppure come pensare, altro che trasferirlo su carta e tela. Il tutto in pochi secondi quasi forse minuti e come niente fosse.

Ma l’artista deve convivere con il dolore e hai dovuto soffrire troppo giovane la morte di tuo padre Giacomo, per poi crescere nel cantone di Via Maestra con tua madre Rosa, la zia Lidia, il Nuccio e la piccola nidiata di cugini. Era naturale e logico che la strada successiva fosse più pragmatica, quella di diventare architetto e di mettere tutta la tua genialità in un mestiere del costruire. Si entrava nel tuo studio ed eri li che tiravi righe e curve, facevi calcoli, schizzavi cose parlavi di calcio o delle cose della vita, nel frattempo le mani e la testa andavano sul progetto

Ccosì hai cominciato a progettare case, piazze, villette, condomini che hanno popolato tutto l’intorno di Villareggi . Avresti potuto fare carrierone ovunque ma che ti fregava … Il tuo mondo era qui dove eri cresciuto, la tua vita stava qui. Un Renzo Piano fra le risaie, la Dora Baltea e la pianura verso Torino. Hai fatto una deroga ad andare a trovarti una moglie a Cigliano e ti è andata bene perchè Silvana è una grandissima.

Io di geni assortiti ne ho conosciuti , spesso sono soggetti un po’ soli e un po’ troppo nel loro mondo, qualcuno poi pensa di essere un po’ troppo … Tu invece eri quasi sempre con i piedi per terra bene saldi, ogni tanto ti astraevi ma “il genio è al lavoro e occorre rispettarlo”. Ma quando il genio prendeva a riposare eri disponibile per tutto e per tutti a qualsiasi ora.

Poi  ti hanno fatto capire “che il posto fisso serve” per cui sei anche diventato un prof e hai allevato tanti ragazzi e ti sei fatto voler bene da tutti colleghi e allievi per le tue doti umane, per una umanità debortante che veniva giù dall’essere invece un omone, ma con un cuore d’oro.

C’erano solo dei momenti in cui ti arrabbiavi : quando si parlava di calcio, si giocava a calcio o si discuteva della Juve. Li era dura tenerti testa, diventavi tifoso e partigiano, ore e ore a dscutere perchè il passaggio era stato fatto male, il rigore c’era o non c’era, come era finita la partita. Il problema era che eri anche in questo contesto perfezionista e quindi difficile da accontentare.

Con mio padre, che tu chiamavi sempre padrino e poche volte Remigio discutevi sempre e tanto. Lui testa dura e tu geniale, ma ti voleva un bene enorme anche perchè vedeva in te la forma più bella delle sue passioni creative e lavorative.

Sei andato via troppo presto perchè fra un po’ di anni avresti potuto rivestire la veste del vecchio saggio, della chioccia della comunità, però un po’ il decadimento fisico e mentale ti preoccupava, per cui hai pensato bene di andartene di colpo cadendo e non rialzandoti più in una via di Caluso.

Hai allevato alla grande Giacomo che ha visto in te un padre e un amico che lo hanno accompagnato in questi anni, La dimensione del personaggio umano e professionale l’hanno data i fiumi di persone che sono arrivati per salutarti e per salutare i tuoi cari dopo la tua morte.

A me piace ricordarti però in pantaloni corti che corri dietro a un pallone di cuoio o come nella foto in cui sei proprio in mezzo, come in posa in una foto storica di un Vilareggia imbottito di giocatori della tua Juve.

Ciao Meri, grazie di quello che ci hai regalato