La parabola discendente di Eutelia

Via Corriere.it

Dicevano «Buy, buy». «Eutelia è da comprare». Poi qualche «hold» (tenere, mantenere la posizione) nei momenti riflessivi, giusto il tempo di abbassare il target price, e alè che si ripartiva con altri buy. Così per tre anni fino a un mese fa. Mai un consiglio di vendere, mai un «sell», neanche per sbaglio. Gli analisti di Deutsche Bank si sono presi una cotta memorabile per il gruppo toscano di telecomunicazioni della famiglia Landi. Dal marzo 2005 fino a poche settimane fa hanno sfornato 45 tra report e aggiornamenti, più di uno al mese, nessuno come loro seguiva così da vicino l’ azienda nata, come un puzzle, dall’ aggregazione dell’ originaria Plug.it. con Edisontel, Bull Italia, Getronics e altre realtà.

Eutelia valeva intorno ai 10 euro quando Deutsche iniziò la copertura, oggi vale 0,48 euro, il 95% in meno. E la bufera sui mercati c’ entra poco. Difficile trovare un caso analogo. Piazza Affari non ha capito il valore di Eutelia? Qualcuno azzarda ipotesi esoteriche, come se il malocchio ci avesse messo lo zampino visto che per quotarsi la società di Arezzo ha utilizzato il «cadavere» della ex Freedomland di Virgilio Degiovanni che certo non è stata un’ avventura fortunata.

Da lì, tre anni e mezzo fa, è partita la storia borsistica di Eutelia che, resa graficamente, sembra un tuffo dal trampolino. Dal 2002 ad oggi ha chiuso solo un bilancio (2006) con un risicato utile di 0,3 milioni, per il resto è una sequenza di perdite fino al crollo dell’ ultimo semestre: 90 milioni di passivo e un’ ipoteca sul futuro del gruppo. In primavera è dovuto intervenire il ministero del Lavoro per contribuire alle paghe dei lavoratori con i soldi dello Stato. E nel frattempo è spuntata un’ inchiesta della magistratura di Arezzo e della Guardia di Finanza per presunte frodi fiscali. A settembre i revisori hanno contestato alla società carenze nel sistema dei controlli interni, nebbia nei rapporti con le parti correlate, dubbi sulla valutazione di una partecipazione (40%) in una società della Liberia.

Già, la Netcom Liberia, uno start up telefonico: da Arezzo a Monrovia un’ operazione ancora tutta da capire, così come l’ accordo per la cessione di Mobyland, appena annunciato, a un non ben identificabile «pool di investitori» nascosto dietro una finanziaria lussemburghese controllata da società olandesi e di Cipro. In consiglio di amministrazione, al di là dei Landi, il padre Angiolo e i figli, sedevano personaggi anche di un certo peso, come Fabio Cerchiai, ex amministratore delegato di Generali e attuale presidente dell’ Ania (la «Confindustria» delle assicurazioni).

Però appena l’ aria si è fatta pesante, in estate, metà consiglio si è dileguato (compreso Cerchiai nominato appena l’ aprile scorso). Perfino i sindaci, tutti meno uno, se ne sono andati dall’ oggi al domani. Strana logica: si abbandona l’ azienda in difficoltà e che per questo ha più bisogno di essere gestita o controllata, per privilegiare comode poltrone (e relativi gettoni). E’ evidente che la verità non è stata raccontata, nemmeno da Cerchiai, nominato appena cinque mesi fa. Domani un’ assemblea appositamente convocata dovrà rimpolpare il consiglio e rifare il collegio sindacale. Da segnalare che nel frattempo perfino Deutsche Bank si è accorta che qualcosa non va. A settembre ha tagliato il target price, ma siccome il titolo ha perso talmente tanto da capitalizzare poche decine di milioni di euro, allora la banca tedesca ha deciso di abbandonare la copertura. Dal buy buy al bye bye.