La lezione (inascoltata) di Montanelli

Via Lastampa.it

Noi giornalisti dobbiamo fare i conti con un nemico mortale. Anziché combatterlo, ci siamo messi al suo servizio: è la televisione. Ho le stesse idee di Popper, la televisione è la più grossa iattura che potesse capitarci, perché è stata utilizzata in modo tale da esserlo. I giornali sono diventati i megafoni della televisione, per questo troviamo titoli a otto o nove colonne su Pippo Baudo o la Parietti. La televisione potrebbe essere un grande strumento di cultura, ma non lo è. Questi però sono affari suoi. Ciò che è affar nostro è di esserci messi a fare i megafoni, copiandone anche i costumi e riconoscendone la supremazia.

L’Italia, oltre ad aver sempre mescolato il serio con il futile, ha sempre preso il futile come l’unica cosa seria. E noi non facciamo che adeguarci, portando agli eccessi questa perversione del nostro costume. Ma c’è di peggio. La televisione insegna ed apre la strada al protagonismo, che portato nel giornalismo ha effetti catastrofici. La televisione aizza quel pessimo incentivo tipico dei cattivi giornalisti, la ricerca a tutti i costi dello scoop. Se qualcuno di voi vorrà fare questo mestiere, sfuggite alla tentazione dello scoop! Ricordate che esso è la scorciatoia dei somari.


Oggi io vedo i direttori nuovi. Sono bravissimi, intendiamoci, hanno tra i 40 e i 50 anni, potrebbero essere miei figli. Ma non stanno in direzione, li ho sotto gli occhi, stanno nell’ufficio marketing, perché la cosa fondamentale di un giornale è la cosiddetta audience. L’audience procura pubblicità, perché un giornale non deve solo vivere, ma deve anche produrre soldi, soprattutto se vuole essere indipendente. Un giornale che deve chiedere soldi a qualcuno è per forza di cose suo servo. Io ho perso la Voce perché non riuscii a portarlo in attivo. È l’audience nelle sue forme più volgari che ci obbliga a involgarire il giornale, che per stampare deve battere questa strada.

Questa strada però non ci conduce a niente. Noi avremo un giornalismo sempre peggiore perché sempre più in cerca di audience, sempre più in cerca di pubblicità e quindi sempre più portato ad assecondare i peggiori gusti del pubblico, invece di correggerli. Intendiamoci, il pubblico è sempre il nostro padrone, non si può prenderlo di petto ma lo si deve educare. Senza mostrarlo però, perché non c’è niente di peggio degli atteggiamenti da mentori. Non so se il giornalismo è capace di compiere un’evoluzione in questo senso, ma io non ne vedo i segni.

Se io avessi 40 anni di meno, tenterei di nuovo di fare un giornale. Ora qualcuno si meraviglierà, ma seguirei la strada aperta dal mio arcinemico Ferrara con il Foglio. Quel giornale è probabilmente ciò che avrei dovuto fare io con la Voce, che non ebbi la forza e la possibilità di fare. Un giornale che adeguasse immediatamente i suoi mezzi ai costi, con poche pagine, che potesse fare a meno di gran parte della pubblicità, con dei giornalisti – ahimé – pagati poco. Ma noi siamo sempre pagati poco, questo mestiere non si fa per i soldi. Anzi, se incontrate un giornalista ricco, diffidatene. Il giornalismo non conduce alla ricchezza, può condurre al benessere, per carità. Io non mi lamento affatto, ho quanto mi basta e anche di più per campare bene. Ma il giornalista ricco è un giornalista che puzza perché si è servito del mestiere per raggiungere altri obiettivi. Un giornalista che si asservisce al mestiere – chiedendo scusa al procuratore Maddalena – lo fucilerei.