L’attesa in diretta con il mouse in mano

Via Rosebud

Trovo abbastanza singolare questa spasmodica attesa per le rivelazioni promesse da Julian Assange, il fondatore del sito Wikileaks. Sarà che il tempo dei Messia è tendenzialmente finito e il loro ritorno è solitamente guardato con romana imperturbabilità, all’insegna del mitico motto “quando te pare”. Facezie a parte, rimane sempre difficile capire come sia possibile che le diplomazie di mezzo mondo possano essere tenute in scacco da una qualsiasi persona, più o meno protetto da controparti compiacenti e più o meno salvaguardato da potenti tentacoli mediatici.

Di sicuro, l’intero affaire-wikileaks permette di ragionare in maniera molto efficace sulla potenza dell’interazione online. Soprattutto, si manifesta quale severo monito per tutti coloro che un giorno sì e l’altro no continuano a scrivere che la televisione resta ancora lo strumento mediatico capace di “condurre il gioco”. Di fatto, questa è una grande sciocchezza perché utilizzare gli share di un qualsiasi programma nazional-popolare per dirimere sullo stato-del-mondo (o anche solo sullo stato-di-una-nazione-moderna) è operazione ingenua e dis-informata. Al contrario, si potrebbe forse dire che qualsiasi situazione televisiva da ascolto-bulgaro, non fa che proporsi come l’ultimo ruggito del leone invecchiato, mentre a sua volta accompagna verso l’eterno riposo le generazioni che l’hanno acclamato re e fatto grande. Naturalmente, con questo non si vuole dire che la televisione sia morta e sepolta, quanto sottolineare che, da una prospettiva informativa in maniera particolare, il mezzo televisivo è già interamente dipendente dalla Rete che decide di suo cosa è notiziabile e cosa non lo è. Di più, che la notiza la crea. Wikileaks docet! Ma non solo Wikileaks a dire il vero.