Sul ruolo (modesto) dei sindacati in tempi di crisi

Via Rosebud

Dopo il default Lehman Brothers del 15 Settembre 2008, e nella successiva crisi finanziaria globale che ne seguì, uno degli aspetti che maggiormente mi colpirono in quel d’Irlanda fu il quasi totale venire meno del ruolo dei sindacati. Vi era qualcosa di paradossale in quello che stava accadendo, dato che mai come in quel momento una loro presenza attiva sarebbe stata indispensabile.

Di fatto, mi rendevo conto che l’assenza delle unions non era viziosa. Non era neppure un’assenza. Semplicemente, tanto più è perniciosa la crisi tanto più il ruolo del sindacato diventa marginale. È  una verità e non può essere altrimenti. Di sicuro, non poteva essere altrimenti nel burrascoso aftermath del crollo Lehman quando i posti di lavoro cominciarono a rovinare a centinaia di migliaia come ciliegie appese ai rami fragili di un albero sbatacchiato dall’uragano più spaventoso.

Ma non poteva essere altrimenti neppure nel tempo che ne seguì quando, dopo mesi e mesi di orizzonte cupo, la situazione cominciò a stabilizzarsi. Solamente in apparenza si intende. Fu infatti quello l’inizio di uno status-quo veramente deleterio e che, a mio modo di vedere, nessuno si è mai preso la briga di andare a verificare con l’attenzione che meriterebbe. Uno status-quo insalubre soprattutto nell’Isola Smeralda, appena reduce da un boom continuato che, per più di una decade, aveva suo malgrado contribuito a distaccare mentalmente gli Irlandesi e i loro ospiti residenti dalle dinamiche lavorative più severe che di solito governano il mondo.