Il giornalismo online non esiste, e pure il giornalismo non sta poi così’ bene

L’ “augusto” Vittorio rilancia e approfondisce al meglio l’analisi del giornalismo che cambia

Se invece la mettiamo nei termini che ti propongo, la situazione appare perfino più grave. Al fondo, nel senso di “al netto di alcune differenze che ritengo marginali”, io condivido il pessimismo di Mario Tedeschini Lalli (e sono d’accordo anche su questo, infatti gli rubo un titolo). Penso cioè che l’industria dei giornali e la professione che ne è vita e alimento, il giornalismo, stia attraversando una crisi che ha molte facce e una prognosi per molti versi infausta. Qualche speranza c’è, ma è legata all’evenienza che mi pare sempre più incerta,  di un riscatto autogenerato della categoria. Poi mi ci accaloro perché penso che quella professione sia una funzione della società democratica.

Perché infausta? Perché la categoria – e qui non parlo di qualche avanguardia, ma del corpaccione inteso nella sua interezza, della “media” di coscienza dei giornalisti –  non ha capito gran che dello sviluppo di questi anni. Questo è vero perfino per altri paese europei, quelli “avanzati”. Alle elite si sono affiancate negli anni fasce molto consistenti di colleghi che hanno compreso il segno strategico, “fatale” dell’apparizione del web: ne hanno compreso quella capacità di incarnare una delegittimazione antica che è espressa oggi nella capacità del web di “abilitare” una rivoluzione sociale dei media, consentendo a milioni di persone di leggere senza più complessi di inferiorità dovunque essi vogliano ciò che vogliono (non penso che questo sia la soluzione del problema, penso anzi che nella rivoluzione ci siano i pitoni di dittature feroci come in ogni rivoluzione. Ma questo, qui, non ci riguarda, qui è della capacità dei funzionari dell’ancien regime di capire l’aria che parliamo).

Dunque alcuni, molti, hanno capito. Ma il corpaccione non si muove. Le sue espressioni ordinistiche e sindacali… lasciamo perdere. Il corpaccione non capisce perché pensa in termini di “categoria”, di editori, di stipendi, di orari, di mansioni, di ruolo, pensa nelle forme di ciò che è morto (che sembri ancora vivo è pura illusione).

Non possiamo più permetterci questo, pena la cecità verso il mondo che ci vive accanto (e che ci dovrebbe comprare, leggere, condividere) e che poi è il mondo di figli e nipoti e fratelli minori . Dobbiamo scegliere: o con il nuovo o con quelli che limitano televisione e internet ai figli perché aliena: di là c’è la morte, l’ideologia, il rigor mortis integralista.

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Vedi, Vittorio, perché io non credo ai “giornalisti on line”? Perché penso che se non diventeremo tutti “online” (mi fa schifo il solo termine, digitali va meglio, no?)  semplicemente rischeremo di scomparire. Tutti. Non perché l’editore è cattivo, ma perché, come in certi film di Fellini e in certi sogni angosciosi, saremo rimasti soli sulla spiaggia deserta al tramonto.