La lunga storia di Eda

Daniele Martini sul Fatto Quotidiano via Grnet.it

Viene male all’idea che la supersegreta, supersicura, superprotetta rete di comunicazione tra Carabinieri, Polizia e Guardia di finanza non sia in mano allo Stato, ma in quelle di una signora di origini polacche, Edoarda Wesselovsky, attrice di una qualche notorietà in gioventù. La rete si chiama Eda (Enterprise Digital Architects), ed è un impianto gigantesco di telefonia e dati in ponte radio di cui quasi tutti ignorano perfino l’esistenza, la più grande infrastruttura d’Italia di telecomunicazioni dopo quella Telecom, ultramoderna, informatizzata, digitale. Un sistema nevralgico studiato per far viaggiare in sicurezza assoluta telefonate e dati di poliziotti e 007, le conversazioni dei ministri, le comunicazioni delle questure e delle prefetture, le informazioni riservate e sensibili, da quelle sui ricercati a quelle sulle targhe delle auto sospette, dai resoconti sulle indagini alle segnalazioni degli agenti. E che entra in funzione anche nei momenti di emergenza a sostegno   della Protezione civile, affiancando le comunicazioni tradizionali o sostituendosi ad esse nel caso siano danneggiate o messe fuori uso dai terremoti, dalle catastrofi, dalle sciagure.

Questo network ha una sala operativa in un bunker tra la Tiburtina e la Nomentana a Roma e centri nei comandi dei Carabinieri ai Parioli, della Finanza in viale XXI aprile e della Polizia al Viminale, filiali a Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Torino e Mestre, più 103 “siti nodali” provinciali e reti Lan per migliaia di postazioni Internet. La storia di Eda è lunga e complessa, con molte ramificazioni, e comincia addirittura all’inizio degli anni Novanta del secolo passato, prima di Tangentopoli, ai tempi del democristiano Vincenzo Scotti ministro dell’Interno e Giulio Andreotti capo del governo. Il Fatto Quotidiano è in grado di raccontare passaggio per passaggio, nome per nome questa vicenda destinata probabilmente a riservare sorprese in futuro.

Per un certo periodo, nell’autunno del 2007, la proprietà di questo delicatissimo strumento è stata addirittura di Eutelia della famiglia aretina dei Landi, società commissariata alcuni giorni fa. Sei componenti di questo gruppo familiare a febbraio 2010 sono stati rinviati a giudizio per appropriazione indebita (33 milioni di euro più 3 milioni di sterline) e per altri reati tra cui il falso in bilancio e la frode fiscale. Qualche mese prima, alle 5:20 della mattina del 10 novembre 2009, l’amministratore delegato dell’azienda, Samuele Landi, armato di piede di porco e alla guida di un commando di 15 persone aveva fatto irruzione nei locali della sede romana di Eutelia presidiata dai lavoratori da tre mesi senza stipendio. Lo stesso signore sul blog di paracadutisti “Sky Dive Tortuga” era ritratto con un coltello tra i denti e un cappellino ornato dal fregio di un teschio. Eda è transitata un anno fa sotto il controllo Vitrociset della signora Wesselovsky, vedova di Camillo Crociani, amministratore Finmeccanica alla metà degli anni Settanta del secolo passato, un manager diventato famoso per lo scandalo degli aerei Lockheed, poi fuggito in Messico dove è morto. Per decenni la Vitrociset ha avuto proprio Finmeccanica come socia con una quota del 10 per cento poi ridotta all’1,46 e affidata alla controllata Selex Sistemi Integrati di cui è amministratrice Marina Grossi, moglie dell’attuale amministratore della stessa Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini. Vitrociset è anche azionista Alitalia con meno del 2 per cento e per decenni è stata proprietaria dei radar e dei software per il traffico aereo nazionale. Un controllo ceduto infine su pressione del Parlamento all’Enav, ente pubblico per l’assistenza al volo amministrato da Guido Pugliesi che ha sborsato 108 milionidieuro.Proprio Pugliesi si è battuto a lungo perché Vitrociset cedesse i suoi impianti sulla base della considerazione che l’Italia non poteva restare l’unico paese sviluppato al mondo in cui la proprietà degli apparati per l’assistenza al volo civile e militare fosse in mano ad un’azienda privata.

La stessa Vitrociset, però, nel frattempo è riuscita a controllare un altro ganglio delicato dello Stato, la rete Eda, appunto, che ha acquistato per una cifra modesta, 28 milioni di euro, al termine di un periodo di affitto durato 18 mesi. Praticamente niente in confronto alla valutazione circolata ai tempi in cui la rete fu realizzata: 2 mila miliardi di lire.

A impiantare Eda fu la svedese Ericsson, scelta sulla base di una triplice considerazione: possedeva le tecnologie adeguate, aveva il Nos, il nulla osta di sicurezza, e tra le aziende di pari caratteristiche sul mercato, tipo Siemens o Alcatel, era la più “italiana” avendo acquistato Fatme e Sielte. Nel 2000 da Ericsson nasce Ericsson Enterprise a cui viene affidato il controllo della rete italiana tra le polizie, di lì a poco venduta a Damovo (Data Mobile Voice) del fondo di investimenti Apax e subito dopo battezzata Eda. Finmeccanica che con Selex nel frattempo stava sviluppando il sistema di comunicazioni di sicurezza Tetra, comincia a metterci gli occhi su e moltiplica le attenzioni quando alla fine del 2006 Eda, che vive sui canoni pagati dalle forze di polizia, entra in crisi di liquidità. Nell’azionariato della rete, però, si affacciano la banca d’affari francese Lazard e Deutsche Bank. Passano pochi mesi e nell’autunno 2007 Eda finisce nell’orbita Eutelia, ma dopo poco viene dichiarata fallita. Entra così in un girone di grande confusione, seguito con apprensione da Nicola Izzo, direttore dei servizi tecnico-logistici del Viminale, incarico che di lì a poco lascia per assumere quello di vice capo della Polizia e che trasferisce a Giovanna Iurato il cui nome compare nella famosa “lista delle case Anemone”, nominata prefetto de L’Aquila all’inizio di maggio. Izzo e Iurato sono indagati nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti per la sicurezza a Napoli, compreso quello per il centro elaborazione dati delle forze dell’ordine affidato ad una società Finmeccanica, la Elsag Datamat, guidata dal marito della Izzo.Nell’ambito della stessa inchiesta viene sentita come testimone anche la signora Grossi, moglie del capo Finmeccanica e amministratrice Selex, socia di Vitrociset.

La cura del fallimento Eda viene affidata a Oberdan Tommaso Scozzafava che nel 2008 affitta la rete a Vitrociset. A quel punto la signora Wesselovsky per rafforzare la parte telecomunicazioni assume come manager Tommaso Pompei (ex Wind, ex Tiscali) il quale, però, nell’autunno del 2009 diventa pure amministratore di Eutelia, anche se per poco tempo, perché lascia con una frettolosa lettera di dimissioni. Eda viene messa in vendita dal curatore, la base d’asta è di quasi 60 milioni di euro, nessuno avanza offerte e alla fine, al terzo tentativo, la gigantesca rete interpolizie viene acquistata da Vitrociset per appena 28 milioni di euro. È un grande affare. Vitrociset considera l’acquisto il primo passo per la creazione di un sistema di “homeland security”, sicurezza nazionale, obiettivo che, però, si prefigge pure Finmeccanica. Eda a questo punto diventa più preziosa che mai.