Il grande fratello Google

Via Repubblica.it

Ecco il Grande fratello Google  Ci scheda per la pubblicità Google ci spia. Traccia e registra i nostri movimenti sulla rete. Vede quello che cerchiamo, vede quello che leggiamo o guardiamo. Sa dove siamo. Conosce i nostri interessi, anche quelli che vogliamo tenere nascosti. Controlla il contenuto e i destinatari delle nostre email. Pochi lo sanno, qualcuno lo sospetta, quasi tutti lo ignorano, ma è proprio così. Ci spia. E poi ci scheda, conservando la mole di informazioni che ci riguardano in un database per un anno e mezzo. Otto italiani su dieci che usano Internet sono finiti nei database di Google. Più riesce a conoscerci, più specifica, corrispondente ai nostri gusti e quindi efficace sarà la pubblicità che ci farà trovare sui siti che visitiamo. Per i cervelloni del marketing è semplicemente behavioral advertising, pubblicità personalizzata. I difensori della privacy, invece, usano un termine più sinistro: profiling. Profilazione degli utenti. Ormai lo fanno quasi tutti i più grossi operatori del web. Ma nessuno in maniera capillare quanto il gigante di Mountain View. Ma quante informazioni riesce a raccogliere il colosso della rete?

Repubblica ha assistito in diretta alla “profilazione”, grazie a Matteo Flora, esperto di sicurezza su internet a capo di TheFool, una società che offre servizi anti-schedatura. Abbiamo navigato per 10 minuti come farebbe un qualsiasi utente: abbiamo visitato il sito di Repubblica, abbiamo letto un articolo che parlava di Berlusconi, poi la notizia del passaggio di Mourinho al Real Madrid, siamo passati su un sito di vendita di automobili, abbiamo visto un’intervista al regista James Cameron, poi abbiamo controllato il nostro conto in banca e spedito un messaggio a un amico su Facebook. Su un altro computer – dotato di un software in grado di fare il profiling – abbiamo potuto vedere con gli occhi di Google. Risultato: al numero 4344222, identificativo del browser (il software di navigazione, in questo caso Explorer), era associato il nostro nome e cognome, carpito al momento dell’accesso a Facebook. Poi una lista di parole: Berlusconi, Repubblica, sinistra, politica, opposizione, Bersani, banca (e il nome del nostro istituto), Inter, Mourinho, Real Madrid, calcio, sport, film, cinema, Avatar, 3d, Cameron, avventura, automobile (e l’indicazione di un modello specifico da noi più volte cliccato), utilitaria, usato. Classificate per importanza.
“Google personalizza gli annunci in base ai nostri reali interessi – spiega Matteo Flora – ecco quindi che la pubblicità non è più una scocciatura, ma diventa persino utile. E remunerativa per chi te la propone. Per cui un utente che naviga abitualmente su siti di automobili, si troverà sparsi ovunque annunci di vendita di auto, anche su portali che non c’entrano niente con quel settore”. Tecnicamente quindi Google è una mega concessionaria di pubblicità che è riuscita a risolvere una volta per tutte l’antico problema del target, quello su cui generazioni di venditori hanno sbattuto la testa. Tutto a discapito però della nostra privacy.
“È il prezzo che paghiamo per i costosi prodotti che Google distribuisce gratuitamente – spiega ancora Flora – con la navigazione di fatto offriamo inconsapevolmente dati personali e dati sensibili riguardanti, ad esempio, l’orientamento sessuale, la salute, la religione che nemmeno i servizi segreti più intrusivi potrebbero avere”. Come se fossimo tutti intercettati, 24 ore su 24.