In carcere in giornalisti che non sanno fare il loro lavoro o che lo fanno volutamente male (molti)

Se un medico uccide un paziente deve subire una pena. Se un giornalista uccide il cervello e la vertià deve passare inosservato e fuori dalla giustizia ? Non va bene ! Così si farebbero fuorio molti giornalisti pecorecci e parziali. (via Stefano Tesi)

In sintesi: dovendo per definizione il giornalista essere terzo e imparziale (il che non vuol dire non avere opinioni, ma vuol dire non farsi accecare da esse al punto da travisare i fatti, piegando la cronaca alle idee personali), è ammissibile l’esistenza di giornalisti-militanti? Cioè di giornalisti che sono dichiaratamente di parte, tifano, fanno politica, leggono a un libro solo, indagano da una parte sola, si schierano non solo in termini generici, bensì proprio nella lettura dei fatti di cui si occupano?

Secondo me, no.

Se però mi guardo intorno – e in tal senso il girovagare e dibattere in rete con moltissimi giovani colleghi ha contribuito in modo decisivo ad aprirmi gli occhi – mi accorgo che la realtà è diversa.

E che moltissimi giornalisti impegnati ogni giorno nella cronaca si sentono anche, se non principalmente, dei militanti. Se non di un partito, di un’idea. Hanno cioè una nozione preconcetta di chi sta dalla parte del torto e di chi da quella della ragione, vivono di apriorismi, di appartenenze ideologiche, di “aree” di riferimento anzichè di principi professionali da porre al centro del proprio lavoro e a cui far capo per l’esecuzione dello stesso. E in base a ciò scrivono, titolano, fanno inchieste, montano processi mediatici e vergano le relative sentenze.

Ce ne sono poi alcuni (parecchi) che si dichiarano esplicitamente tanto di parte (e ciò gli pare normale!) da considerare appunto la propria attività di reporter non come una prestazione giornalistica, cioè un’attività professionale resa a un editore in cambio di un compenso, ma un atto (dovuto) di militanza prestato a una fazione di commilitoni, correligionari, compagni.

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Se invece come adesso, giornalistificio imperante, prima si dà a tutti la patacca di giornalista e poi nemmeno si controlla che chi la porta ne conosca il significato o applichi le regole-base che il possesso del tesserino implica, buonanotte: si manda in galera Sallusti, si dicono due o tre sciocchezze retoriche sulla libertà di stampa, si offre al sindacato l’opportunità dell’ennesimo vaniloquio e dell’ennesima fiaccolata e tutto resta come prima