Il giornalismo senza scrivere, ma con i dati

Mario Tedeschini racconta dove deve andare il giornalismo

In giro, anche tra i giovani, continua a girare l’idea che la “scrittura” (intesa nel senso tradizionale della parola sulla pagina) sia la caratteristica essenziale del giornalismo. “Mi piace scrivere [variante: ‘Scrivo bene..’] vorrei fare il giornalista”, è una frase che continuo a sentire ripetere in maniera tanto automatica quanto priva di senso. Lo scrivere è certo parte importante del giornalismo – e tanto più se intendiamo in senso ampio il verbo “scrivere” – ma non è la parte distintiva di questo mestiere. In ogni dato momento, fatto cento i giornalisti che effettivamente stanno lavorando, quelli che in quel momento stanno scrivendo un articolo sono una piccola minoranza. Chi ama scrivere, chi “scrive bene” e solo per quello pensa di  voler fare il giornalista è meglio che guardi da un’altra parte: l’autore di fiction, il copy in un’agenzia pubblicitaria ecc. ecc. Quello che il giornalista “fa” è selezionare e organizzare l’informazione.

Nel mondo analogico la funzione di selezione e organizzazione dell’informazione non veniva e non viene alla luce tranne che al suo stadio finale: il testo degli articoli, l’impaginato del giornale o il sommario del tg. Nel mondo digitale è possibile fare di più: portare “in vista” una gran parte di questo processo, sia per aumentare la quantita e la rilevanza delle informazioni per il singolo utente/lettore, sia per aumentare la credibilità del proprio prodotto.

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La necessità di una archeologia digitale: CNN Italia

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