L’internet della crisi

Scoperta tardi, ma non per questo non meno interessante l’analisi attenta di Fabrizio – Biccio

A chi come me porta a casa la propria pagnottella quotidiana grazie ad Internet, e che magari come me ha vissuto drammaticamente il tracollo della new economy dopo l’11 settembre 2001, qualche brivido sulla schiena per il crollo delle borse mondiali e l’inaugurazione di un periodo di vera e tangibile recessione non sarà mancato. Certo, siamo lontani dalla impressionante e ridicola bolla di fine anni 90, quando c’era chi riusciva a farsi pagare 500.000 Lire al giorno per fare pagine HTML con le tabelle e Dreamweaver, o faceva margini del 600% sui progetti web. Tuttavia non è facile scrollarsi di dosso la sensazione di “costruire il superfluo”, in un momento in cui si intravedono obiettive difficoltà su aspetti molto più concreti della vita quotidiana delle persone e delle imprese. Questa riflessione, figlia legittima dei titoloni a segno meno sui quotidiani e i telegiornali nazionali, si è poi trasformata in una prima, e poi in una seconda domanda: com’è cambiata la rete dopo il crollo del 2001? E adesso invece cosa accadrà?

A distanza di sette anni, abbiamo capito che quello che oggi chiamiamo web 2.0 è in larga parte figlio della crisi del 2001. Fine dei budget multimilionari per progetti di scarso valore, fine delle supermega web agencies dirette da ricchissimi dandies simil-rockstars, nascita e sviluppo di standard aperti, piattaforme open source, e nascita di un uso attivo della rete da parte degli utenti, sono solo alcuni dei vettori che hanno portato fin qui. Non una vera rivoluzione, ma certamente un riequilibrio dei valori in campo. E all’alba di un nuovo tracollo, o comunque di un momento molto difficile, è possibile un accelerazione improvvisa verso una seconda austerity, basata sulla valorizzazione di quanto già esistente (e magari poco sfruttato) piuttosto che la spesa insostenibile di nuovi mostri da costruire from scratch. Senza quindi voler fare l’oracolo della domenica, provo a buttar giù quello che ritengo potrà essere l’atteggiamento più intelligente, in epoca di crisi, per chi si occupa di attività su Internet:

Qualità
Inutile girarci intorno: oggi esiste una consapevolezza del mezzo sufficiente per pretendere qualità percepita, riflessa, o reale che sia, ma comunque qualità. Uno spaventapasseri travestito da social network non incanta più nessuno già ora, figuriamoci l’anno prossimo.

Zero investimenti in sviluppo tradizionale
Oggi è disponibile open source tutto quello di cui si ha bisogno per sviluppare progetti per il web di buona qualità. E come i funghi nel bosco, o i pesci nel mare, il valore è in chi sa pescare, trovare, raccogliere e adattare. Vale sempre meno la pena imbarcarsi in avventure di sviluppo di architetture complesse, quando c’è un mondo intero connesso online, che seleziona, scarta, e costruisce cose che funzionano ad uso di tutti e che possono essere ricombinate con risultati interessantissimi.

Esternalizzazione verso servizi free o low-budget di tutti i costi infrastrutturali
Certo, c’è un limite a tutto, ma per attività di basso, medio traffico tutti gli host di contenuti multimediali (Blip, youtube e simili), e servizi di hosting web tradizionale che con pochi dollari forniscono storage, banda, ambienti di sviluppo, db e gestione domini vanno benissimo. Scaricate un problema, e pensate solo a inventare.

Personalizzazione sartoriale
Gli strumenti disponibili sottraggono tempo e fatica che possono essere reinvestiti nella cura dettagliata della personalizzazione. Che poi è il vero valore aggiunto.

Bassi margini
Inutile pensare di arricchirsi con la rete. Molto meglio tenere un regime di margini bassi ma costanti, che rappresentino il giusto valore del proprio lavoro al netto dei costi vivi. Tentare di fare il colpaccio, oggi come oggi, pare veramente una stupidaggine che rischia di bruciare clienti e basta.

Creatività della crisi
da che mondo è mondo, la migliore creatività viene fuori in presenza di limiti enormi. Datemi tutto quello che mi occorre, e probabilmente farò qualcosa di banalissimo. Datemi tre oggetti, e probabilmente ne trarrò un’opera d’arte. Mai come in questo momento la creatività della crisi diventa fondamentale. Massimo risultato dal minor sforzo.

Ottimizzazione
Tanto più un progetto viene curato con intelligenza, tanto meno costerà dopo. Lavorare bene sulle parti iniziali, sull’architettura delle informazioni, e sull’interaction design, vorrà dire non dover ritornare mille volte sugli stessi elementi solo perchè sono stati progettati occhi a terra e non si è stati in grado di vedere il disegno complessivo.

1 commento su “L’internet della crisi”

  1. Ottima analisi veramente, anche se mi permetto di fare un’osservazione personale. Concordo con i punti che invitano a sfruttare quanto possibile le risorse open sourse e i servizi di host di contenuti multimediali, ma mi chiedo se, in uno scenario di crisi, questi servizi continueranno ad esistere e a funzionare esattamente come ora. Nello scenario attuale (intendo quello pre-crisi) in cui i venture capitalist possono contare su un consistente capitale di rischio e in cui risulta conveniente investire in una impresa che genererà utili (forse) nel lungo periodo, la rete è ricca di servizi che vengono offerti gratuitamente con un modello di business centrato sull’advertising (che però nel breve periodo non sempre rende abbastanza da coprire i costi) nella speranza di trovare un modello di business più remunerativo del tradizionale banner. In uno scenario di crisi invece questo non può accadere ancora per molto: i venture capitalist non hanno fondi a sufficienza per tutti e chi investe pretende di vedere utili nel medio se non breve periodo, in quanto le speranze per il futuro non sono più rosee. Probabilmente, se la crisi si rivelerà dura come leggo sui giornali in questi giorni, vedremo prima una selezione naturale (resteranno solo i grandi o chi ha dietro fondi a sufficienza) e quelli che resteranno dovranno fare utili subito il che probabilmente passerà per la strada del premium.
    Questo per dire che l’analisi è corretta, ma è fatta “a bocce ferme” e cioè considerando la rete così come la conosciamo ora. Credo, mio malgrado, che non sarà proprio la stessa…

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