Il giornale non è la sua carta. Il giornalista non è il pesce incartato.

Una puntuale anlisi dello stato delle cose dei giornali di Luca De Biase

Varrebbe la pena di chiarire che si dovrebbe distinguere il destino dei giornali e quello dei giornalisti. È sbagliato definire i giornalisti come la categoria delle persone che scrivono i giornali (essendo i giornali tautologicamente quelle cose che sono scritte dai giornalisti…). E sebbene quella sia stata la definizione adottata dall’Ordine, non pare più molto azzeccata. Forse si potrebbe proporre l’idea di giornalisti come professionisti impegnati nella produzione di informazione per il pubblico con un metodo di ricerca empirico e trasparente (informazione, non comunicazione). In quel caso il loro destino non sarebbe necessariamente quello di seguire la sorte dei giornali. I giornali, invece, sono i prodotti di un’industria editoriale molto importante che a sua volta non vive solo del lavoro dei giornalisti, ma anche di quello delle concessionarie di pubblicità, di sostegno pubblico, di collaterali e altro.

Ho l’impressione che in una crisi come questa tutto diventi più semplice da capire. Se una cosa serve e viene fatta bene resiste di più di una cosa che non serve e viene fatta male. E questo vale anche per i giornali e per il lavoro dei giornalisti.

I giornali hanno diverse opzioni.
1. possono diventare entertainment
2. possono diventare puri contenitori pubblicitari
3. possono diventare puri mezzi di propaganda
4. possono mettersi al servizio della comunità che ha bisogno di informazione
5. possono diventare piccoli circoli culturali nostalgici

Tutte queste opzioni sono già praticate. Il mercato non sembra sostenerle tutte. Lo stato ne sostiene alcune. Quali resisteranno in futuro? La quarta opzione, in particolare, resisterà e si svilupperà solo se i giornali che la praticheranno sapranno essere davvero di servizio, trasparenti, chiari nella linea editoriale e intelligenti nell’interpretazione. In questo senso, la crisi potrebbe migliorare la situazione, scremando il panorama e offrendo al pubblico una maggiore consapevolezza di quello che comprano.

E i giornalisti a che cosa serviranno? Nessuno ha la soluzione in tasca. Le opzioni sono diverse:
1. diventeranno persone di spettacolo
2. diventeranno testimonial pubblicitari
3. diventeranno addetti alle relazioni pubbliche
4. si concentreranno sul mestiere di fare informazione per il pubblico
5. si chiuderanno in alcuni scantinati a lamentarsi pensando di fare cultura

Tutte queste opzioni sono già praticate. Ma se i giornalisti faranno informazione per il pubblico, il pubblico troverà il modo di sostenerne il lavoro. Le soluzioni sono molte da questo punto di vista.

Se giornali e giornalisti faranno informazione insieme, purificando un po’ il clima che si è creato in un contesto nel quale informazione, comunicazione, propaganda e pubblicità hanno perso di vista i loro confini, allora anche questa crisi sarà servita a qualcosa.  E se intanto su internet cresceranno le fonti di informazione diretta, i blogger di qualità, i nuovi modelli di business, il sistema dell’informazione avrà soltanto da guadagnarci.

Per un lavoro sulla qualità, sulla ricerca che richiede tempo e pazienza, sulla indipendenza di giudizio, i professionisti della ricerca giornalistica capace di seguire un metodo empirico e trasparente potrà ancora servire. Su qualunque piattaforma. Perché il giornale non è la sua carta. E il giornalista non è condannato a fare il pesce incartato.