Vittime del digitale: il reporter di guerra

Mimmo Candito su Lastampa.it ricorda che sta morendo un figura importante peruna corretta informazione. Per i repoter di guerra occrerà trovare prestissimo dei sostituti per evtiare che la percezione delle guerre sia totalmente “embedded”.

La geografia della guerra non si estinguerà, e però lentamente, inevitabilmente, a tracciarne i percorsi saranno sempre meno i reporter, con i loro occhi, le loro domande, le loro incursioni moleste, e invece ci saranno sempre più strutture mediatiche di confezionamento, che gestiranno i flussi informativi e consegneranno alle redazioni un materiale sapientemente organizzato della rappresentazione del conflitto. «È la stampa, bellezza», diceva Humphrey Bogart in una vecchia pellicola di Hollywood, quando i giornalisti frugavano irrispettosi tra le scorie della società; oggi quella frase dovrebbe dire, piuttosto, che è la tecnologia e l’elettronica, bellezza. Ma il cambiamento non è solo d’una strumentazione diversa o d’una diversa metodica di lavoro: no, no, ha il significato d’una autentica mutazione genetica.

Oggi che diciamo che questo è un mestiere che è morto, abbiamo anche la consapevolezza che era comunque una morte annunciata. Che l’agonia è stata lunga e drammatica, che la nostra tenacia è stata perfino coraggiosa, con i più di 200 di noi che sono finiti ammazzati in Iraq nel loro tentativo di dimostrare che si poteva e si doveva continuare a illudersi delle ragioni di un impegno praticato nel nome d’una dignità e d’una consapevolezza sempre più rare. I morti del giornalismo non sono eroi, quasi mai; sono soltanto i testimoni d’un comportamento assunto per rendere possibile un’idea – magari romantica, e però per molti reale, concreta – del giornalismo come strumento credibile di conoscenza. Un’idea possibile al di là dei condizionamenti, delle pastoie imbarazzanti, delle pressioni sottili (ma anche rozze, spesso) che gli vengono riservate nella sofisticatezza dei nuovi equilibri politici che la «società liquida» del nostro tempo impone alle vecchie strutture del sistema democratico.