Così l’Italia ha perso l’Adsl

Luigi Grassia su Lastampa.it

È nero su bianco, un brevetto depositato negli Usa nell’ormai lontanissimo (tecnologicamente parlando) 1980, rilasciato nel 1983 e relativo a qualcosa che viene definito «Sistema combinato di telefonia e trasferimento di dati». Le righe centrali del documento sono sbalorditive: «Obiettivo generale di quest’invenzione – si legge – è permettere di comunicare in maniera bidirezionale con una banca dati e/o con un network specializzato, senza che questo impedisca l’uso simultaneo della linea telefonica attraverso cui ha luogo tale comunicazione».

Suona familiare? Si sta parlando di un procedimento con cui si trasmettono nei due sensi – e contemporaneamente – voce e dati (a 16 kbit/s, alta velocità per allora) con il «doppino» telefonico, come avviene oggi lungo le reti in rame potenziate dalla tecnologia Adsl. C’è però quella stranezza della data, il 1980, epoca pre-Internet. E poi una sorpresa ulteriore: nel brevetto l’invenzione e la sua proprietà intellettuale sono attribuite a un centro di ricerca italiano, cioè lo Cselt (oggi Telecom Lab) di Torino.

L’ingegner Auro Artom, che negli anni in questione era direttore della Divisione reti e sistemi dello Cselt, nel mostrare questo brevetto americano e uno spesso fascicolo di altri documenti analoghi, registrati dal suo gruppo di ricerca all’inizio del decennio 80 in tutto il mondo, mette le mani avanti e con scrupolo da ingegnere non arriva a sostenere di aver inventato l’Adsl (mancava il requisito della «banda larga»); però, rivendica a sé e ai suoi collaboratori di essere stati «anticipatori di una struttura tecnologica che permetteva di inviare e ricevere dati, usando le linee telefoniche in rame senza bisogmo di creare una nuova rete apposita», che è la grande virtù dei sistemi di trasmissione «overvoice».