I peccati di San Marino

Francesco Bonazzi sul’Espresso

In un rapporto riservato le ammissioni della banca centrale della piccola repubblica. Le pressioni del fisco italiano. Siamo alla vigilia della svolta?

Altro che “buon vicinato”. Nel diritto internazionale si chiama ancora così il trattato che dal 1939 regola i rapporti tra Italia e San Marino, l?antica repubblica romagnola che con 12 banche e una cinquantina di finanziarie è allo stesso tempo una roccaforte del segreto bancario e un’efficiente necropoli fiscale. Ma tra inchieste giudiziarie, rogatorie respinte e pressioni politiche a tutti i livelli, quello che Roma prepara per l’autunno è ormai un vero assedio al Titano.

Un accerchiamento che ha buone probabilità di successo, perché per la prima volta anche all’interno c’è chi pensa che per evitare di finire nella “black list” degli Stati-canaglia ormai ci sia una sola ricetta: applicare senza indugi le regole Ocse in materia di anti-riciclaggio, collaborare con Roma sul fronte della lotta all’evasione e strappare, in cambio, la garanzia di poter continuare a fare dumping fiscale in qualche settore come i fondi d’investimento o l’elettronica di largo consumo. Questo realismo è alla base dell’ultima relazione che la Banca Centrale di San Marino ha consegnato al governo. Un documento riservato del quale “L’espresso” ha ottenuto una copia e che contiene due ammissioni notevolissime: che l’economia locale vive in buona parte sull’evasione fiscale italiana e che la stessa evasione, in realtà, è reato anche sul Titano. Motivo per cui crollerebbe anche l’ultimo cavillo al quale si aggrappa la magistratura sammarinese per respingere le rogatorie, e cioè che da loro non è reato rubare sulle tasse.