Le lettere dalla crisi

Repubblica ha fatto raccontare la crisi dai suoi attori, altri l’avevano fatta raccontare dai guru

L’altra faccia della crisi – come raccontano le oltre 5mila testimonianze raccolte su www.repubblica.it – è il dramma delle oltre 580mila persone che hanno perso il lavoro in Italia nel primo semestre dell’anno. O che rischiano di perderlo nei prossimi mesi. Una marea che (purtroppo) continua a montare, come si può intuire da questa pioggia di e-mail, un muro del pianto online che disegna il ritratto trasversale di una società tricolore sempre più “liquida”, dove la congiuntura negativa non ha risparmiato davvero nessuno.

I licenziamenti di massa di una volta, dicono le lettere arrivate sul sito, sono una categoria da archeologia industriale. La via crucis dei lavoratori del Belpaese oggi è uno stillicidio di piccole grandi tragedie dove i vecchi steccati sociali sono saltati. Scrivono i dipendenti rimasti senza stipendio ma anche i datori di lavoro (“i ricavi della mia azienda di intimo sono crollati del 60% – si sfoga il titolare della mantovana Project Five – dieci impiegati su 16 sono in cassa e se non arrivano ordini a fine anno deve chiudere”).

Saltano i contratti a termine (229mila solo nel secondo trimestre) e i Cococo (-65mila). Mentre i 500mila italiani in cassa integrazione lo scorso luglio aspettano con il fiato sospeso di capire se riusciranno a salvare il posto in vista di un autunno che – letto nella sfera di cristallo delle testimonianze personali – rischia di essere più duro della prima metà dell’anno.

C’è di tutto insomma. La disperazione di chi, pur senza aver letto la grande stampa economica anglosassone, capisce da solo, che “l’aumento della disoccupazione è un fenomeno destinato a durare a lungo termine” come ha ammesso il Fondo monetario internazionale. Come dire che le aziende, i cui conti stanno già migliorando, si rimetteranno in piedi molto prima dei loro (ex) dipendenti. C’è l’orgoglio del titolare delle Officine Cb di Firenze (“-55% di fatturato quest’anno”, scrive a Repubblica) che ammette di “aver paura” ma che non si è “mai abbattuto”.

La somma di queste 5mila storie è la foto di un’Italia che rischia (o è già) rimasta indietro. E che in molti casi fatica a far quadrare il bilancio di casa malgrado i “presunti” ammortizzatori sociali. L’identikit di un paese che con i guasti sociali, economici ed emotivi aperti da questa crisi dovrà fare i conti ancora a lungo. Anche perché al di là di tanti ottimismi di facciata questi racconti suggeriscono che la svolta non è dietro l’angolo. “Sono un giovane imprenditore di Reggio Emilia che lavora nella meccanica e si sta interrogando sugli effetti della crisi – racconta il “padrone”, si sarebbe detto una volta, della Nuova Eurorampe – Le grandi aziende del mio territorio sono ferme, l’indotto di piccole soffre d’asfissia e chiuderà o ridimensionerà il personale entro fine anno. La luce in fondo al tunnel di cui molti parlano qui non è ancora arrivata…”. Tutti, di cuore, sperano si sbagli.