Il suicidio del figlio di Madoff

Via Repubblica

Viaggiava in Vespa, per battere il traffico di Manhattan, ma neppure con un agile scooter italiano è riuscito a sfuggire alla condanna del suo nome: Mark Madoff, il figlio del più grande truffatore nella storia finanziaria americana, si è impiccato ieri nel suo appartamento di Soho.

Era l’anniversario della grande rivelazione, il 10 dicembre, quando scoprì la truffa. La madre e il fratello Andrew non gli parlavano più, il padre Bernie è in galera per sempre, la moglie Stephanie l’aveva lasciato in ottobre. Ma non lo avevano lasciato i creditori rovinati, il procuratore federale e il giudice fallimentare che gli aveva chiesto 200 milioni di dollari da distribuire, elemosine per i derubati. Il nodo scorsoio era rimasto la sua ultima via di fuga e lui l’ha imboccata.

A 46 anni di età, Mark era il primogenito di famiglia, l’erede designato di una fortuna da 50 miliardi di dollari, o 75 secondo calcoli ancora in corso, che esistevano soltanto sulla carta. Lui non aveva pianto, non si era buttato sul pavimento dell’ufficio del padre come il fratello più giovane quel 10 dicembre 2008 quando Bernie aveva convocato i figli per dire loro che l’impero di titoli, obbligazioni, investimenti che credevano di amministrare per conto di famosi clienti, ospedali, università, registi come Spielberg, fondazioni di beneficenza ebraiche non esisteva. Che era una piramide di carta straccia, uno “schema di Ponzi” come si dice nel gergo dal nome del magliaro italiano che per
primo l’aveva creato negli anni ’20, costruita sulla credulità dei clienti, “sifonando” dollari che finivano in portafogli titoli esistenti soltanto nella stampante dei loro computer.