Compro oro

Via Lastampa.it

Difficile, ormai, girare per la città senza imbattersi nei loro sgargianti inviti: «compro oro», «pago in contanti». Complice la crisi e le performances borsistiche da star del metallo bene rifugio per eccellenza, questi negozi con le insegne gialle e cubitali, le vetrine rigurgitanti di luci e di promesse, sembrano moltiplicarsi un po’ ovunque. Dalla Questura spiegano che a Torino e provincia, solo nel corso del 2010, sono state richieste più di cento licenze. Cifre di tutto rispetto se pensiamo che nel capoluogo piemontese (dati Camera di Commercio) ci sono oggi 340 gioiellerie. O meglio, 340 «commercianti al dettaglio di orologi e gioielli». Il guaio è che i mister «compro oro» sono inquadrati nella medesima categoria dei gioiellieri «normali». E il monitoraggio puntuale delle licenze da parte della Questura è stato avviato solo dal 2010. Impossibile, dunque, misurare l’incremento di queste attività rispetto al passato. Ma le oltre cento licenze richieste e una semplice occhiata fra le vie della città, autorizzano comunque a parlare di un vero e proprio «boom» del fenomeno.

Come funzionano, dunque, questi esercizi? Il cliente porta il proprio oro usato che, una volta pesato e valutato, viene immediatamente pagato. Quanto? Dipende. Il fatto è che alcuni pagano (in media 18 € al grammo) in base al peso dell’oggetto sulla bilancia, altri versano un prezzo calcolato sulla quantità di oro puro (si dice a 24 carati) presente nel gioiello. Capita, però, che sui volantini e sulle insegne la distinzione non sia sempre così chiara. Così qualcuno legge 23 € al grammo, entra nel negozio e scopre che si tratta di una cifra versata per l’oro puro e non per il peso complessivo. I commercianti hanno degli obblighi di legge: oltre alla normale iscrizione alla camera di Commercio devono avere una licenza rilasciata dal Questore e tenere un registro nel quale annotare i dati del venditore, il tipo di merce comprata e il prezzo pattuito. Trascorsi almeno dieci giorni dall’operazione di compravendita, rivenderanno a loro volta ai cosiddetti «banchi metalli», fonderie (in Piemonte sono soprattutto a Valenza) che acquistano grosse quantità.