Il tentativo di infangare Raphael Rossi

Raphael Rossi sul Fatto Quotidiano

Ricordate la mia vicenda? Da vicepresidente dell’Amiat, l’azienda per la raccolta rifiuti di Torino, blocco l’acquisto di un macchinario – un presso estrusore – dal costo di 4,2 milioni di Euro che la direzione dell’azienda e gli altri amministratori volevano acquistare scavalcando la procedura di gara d’appalto pubblica prevista per legge. Blocco ogni operazione e, a conferma dei miei dubbi, ricevo la proposta di una tangente che cresce fino a 125mila Euro.

Ora al processo gli avvocati della difesa, per giustificare i loro clienti, cercano di far passare la tangente in secondo piano, presentando tesi grottesche degne di funamboli del linguaggio e della verità. Sarei contrario a quel macchinario, il presso estrusore, perché sarebbe “alternativo alla raccolta differenziata”. A questo punto, dicono che, essendo un tecnico proprio nello sviluppo delle raccolte differenziate, avrei un “conflitto di interessi”. Ecco una tesi che nella migliore delle ipotesi non conosce nulla della raccolta differenziata e nella peggiore è in chiara malafede.


A essere interessati alla raccolta differenziata dovrebbero essere, oltre a me, tutti i cittadini di buon senso e gli amministratori pubblici, visto che farla è obbligo di legge, ribadito dalle direttive europee, dalle leggi italiane, dalle leggi regionali, dalle pianificazioni provinciali e dalle deliberazioni comunali. Inoltre, la macchina in questione è stata proposta all’Amiat proprio per trattare l’organico da raccolta differenziata; come si può dire che sia in contrasto con la raccolta differenziata? L’impianto di compostaggio dell’Amiat che trattava i rifiuti organici non era attrezzato tecnicamente per ricevere il frutto del presso estrusore (altri soldi pubblici da spendere…). Ma tutto questo è un dettaglio, visto che gli avvocati lo dimenticano.

E così, mentre gli avvocati degli accusati si rinforzano gli uni con gli altri e gli accusati sono solidali tra loro, io non posso che continuare a denunciare non soltanto la corruzione, ma anche le difficoltà che incontra chi decide di opporsi alla corruzione. Non ultimo il fatto che per gli avvocati della controparte, tra i più celebri di Torino, io sarei stato “sguinzagliato dalla Procura” a caccia di prove della corruzione (le famose intercettazioni). Come un cane a guinzaglio a cui la Procura toglie la museruola… parole indegne che offendono tutti coloro che credono ancora nella giustizia. Un insulto che mi spinge a non mollare perché voglio che dopo di me chi vivrà l’esperienza di denunciare la corruzione sia più protetto dalle istituzioni e non debba subire il peso delle sanzioni (dal mobbing, all’isolamento o al licenziamento), proprio come previsto dalla Convenzione di Strasburgo contro la Corruzione, che l’Italia ha firmato il 27 gennaio 1999 e non ha mai tradotto in legge, a differenza di quasi tutti gli altri paesi Membri (ma tornerò a parlarvene).