Wolfgang Achtner ha pubblicato sulla sua pagina Facebook questa storia sul comportamento di Francesco Semprini della Stampa. Approfittiamo per aprire una sezione che chiameremo clonazioni in cui metteremo insieme i copia incolla e traduci che ci verranno segnalati debitamente documentati
Una delle pratiche del giornalismo italiano che maggiormente mi da fastidio, e che denuncio da un ventennio, è la brutta abitudine degli inviati italiani a New York di copiare di sana pianta la maggior parte dei loro servizi. Questa pratica molto diffusa riguarda la quasi totalità degli inviati italiani e di solito si esercita in due modi. Nel primo caso, si copia integralmente un unico articolo, originariamente scritto da un giornalista americano, e dopo averlo opportunamente tradotto, l’articolo appare con la firma dell’inviato nella versione cartacea e online del quotidiano italiano per conto del quale lavora. Nel secondo si crea un collage di brani rubati da diversi quotidiane e/o riviste americane. Anche in questo caso, l’articolo appare sul medium italiano indebitamente firmato dall’inviato a New York.
Nel caso in questione, nell’edizione online de La Stampa del 23 maggio 2011, ho trovato un articolo intitolato “Vita da cameriera d’albergo” firmato da Francesco Semprini. Dato che so che gli inviati italiani lasciano di rado i loro uffici, la cosa che mi ha immediatamente insospettito è stata la ricchezza di citazioni dirette di cameriere indicate con nome e cognome, che lavoravano in varie città.
Come di consueto, non ci ho messo più di dieci secondi a trovare su Google l’articolo originale, effettuando una ricerca utilizzando il nome di una delle cameriere e le iniziali “DSK”. Ho ritrovato il servizio originale nell’edizione del 21 maggio 2011 dell’Huffington Post e del San Diego Union-Tribune scritto da Chris Hawley dell’Associated Press con la collaborazione di 2 reporter della medesima agenzia di stampa, Leanne Italie e Verena Dobnik.
Come si può facilmente vedere, l’articolo di Semprini è il frutto di un’operazione di “taglia e cuci”, tradotto in italiano. Chiunque volesse verificare quanto scrivo troverà in fondo alla presente, i servizi di Chris Hawley e di Francesco Semprini.
Premesso che insieme alla “fabrication”, la scrittura di fatti inventati come se fossero veri, il reato di “plagiarism”, la ricopiatura senza attribuzione del lavoro altrui può comportare nei media americani il licenziamento in tronco dell’autore del plagio. Colgo l’occasione per notare che solitamente, nei casi riguardanti i media americani, all’autore di un plagio viene rinfacciato la ricopiatura di uno o due citazioni dall’articolo di un collega, Semprini non ha avuto nessuna remora nel copiare tutto il contenuto del suo articolo che, per la precisione, è più breve dell’originale.
Questa triste abitudine tutt’italiana di rubare col sistema del copia e incolla il lavoro di altri è il risultato di diversi fattori, primo tra quali pigrizia, sciatteria, e incapacità ma occorre anche dire – come ho scritto nei miei libri – che questa pratica è conosciuta e autorizzata dai caporedattori in Italia. Le giustificazioni addotte includono la mancanza di tempo per scrivere i pezzi, il fatto che gli inviati dovrebbero recarsi in altre città e via discorrendo.
L’aspetto più assurdo di questa questione è che un quotidiano italiano spende centinaia di migliaia di euro per inviare a New York qualcuno che si limita a copiare i servizi dei colleghi americani. Premesso che tale pratica è un reato, che negli Stati Uniti verrebbe perseguito in tribunale, sarebbe molto più semplice e meno costoso assumere qualcuno nella redazione italiana per tradurre direttamente questi servizi.