La ricattabilità dei poveri (tra i giornalisti)

Via Stefano Tesi

Secondo il supremo organismo giornalistico l’indipendenza dell’informazione dipenderebbe insomma, detto in soldoni, dal rischio – evidentemente inteso come costante minaccia – di licenziamento a cui, in base all’approvanda normativa, sarebbero sottoposti i cosiddetti “contrattualizzati”. Cioè quelli col posto fisso. I quali, per evitare di trovarsi a spasso, sarebbero in qualche modo costretti ad obbedire agli ordini disinformativi del “padrone”.
Non ci posso credere.
In un mondo in cui le redazioni sono state trasformate (col beneplacito del sindacato e il silenzio distratto dell’Ordine) in uffici burocratici, con i 2/3 dei giornalisti in attività tenuti fuori da esse a produrre i 4/5 del pubblicato in cambio praticamente di nulla (e versando quindi in permanente stato di necessità economica, oppure scrivendo per hobby e quindi senza alcuna reale necessità di mantenere il posto), quelli sottoposti al ricatto o – diciamolo! – alle sirene di marchette, corruttela, cointeressi, conflitti, etc sarebbero i redattori?
Ma cari colleghi, stiamo scherzando?
Perché fate finta di non vedere o di non sapere che, per sbarcare il lunario, c’è una fetta amplissima degli autonomi disposti a lavorare per due spiccioli che “triangola” (o, per ragioni di sopravvivenza, è costretto a triangolare, anche se la sostanza non cambia) con attività deontologicamente poco lecite come i compensi in natura, le pr, gli uffici stampa più o meno occulti, i marchettoni a buon rendere, i corrispettivi sottobanco, le consulenze trasversali? Lo sanno anche i sassi che l’indipendenza economica è il fondamento della libertà del giornalista e che, tra tutti i giornalisti, i meno economicamente indipendenti, perciòricattabili, sono proprio i collaboratori, gli esterni, gli autonomi. O no?
Insomma, per le vie sopra indicate il temuto condizionamento esiste già. E in molte redazioni si è ben lieti di subirlo, lavandosi la coscienza col fatto che, materialmente, il misfatto viene compiuto dal collaboratore. Sul quale, secondo i casi, a volte si chiude un occhio, spesso se ne chiudono due ed altre, se è necessario, si scarica invece tutta la responsabilità.