Il 7 febbraio a Roma la presentazione del nuovo rapporto Lsdi sul giornalismo in Italia

Il 7 febbraio a Roma presso la sede FNSI  la presentazione del nuovo rapporto Lsdi sul giornalismo in Italia. Sempre più lavoratori autonomi pagati sempre meno. E meno lavoratori subordinati nel settore dell’editoria giornalistica. Continua a calare il peso di quotidiani, periodici e Rai sul totale degli occupati. In controtendenza solo le aziende private e le radio e tv nazionali. Mentre restano ancora molto vaghi i contorni del cosiddetto giornalismo digitale “nativo”.

Sono alcuni dei dati contenuti nell’aggiornamento del rapporto su “La professione giornalistica in Italia”, curato per Lsdi dal collega Pino Rea, che sarà presentato nella sala “Walter Tobagi” della Fnsi martedì 7 febbraio, alle 10.30, alla presenza – fra gli altri – dei vertici degli istituti di categoria.

Nel 2015 continua ad approfondirsi la crisi della professione giornalistica, che va di pari passo con la crisi del settore registrata a partire dal 2010 e dalla quale il mondo dell’editoria non sembra ancora riuscire a liberarsi, come dimostra anche l’alta percentuale di aziende (oltre 400 delle 1.400 iscritte alla Cassa) che non rispettano scadenze e versamenti a Casagit.

E se qualche segnale positivo inizia a ravvisarsi in alcuni settori dell’informazione, con l’occupazione stabile che cresce nelle aziende private e nelle radio e tv nazionali, il rapporto evidenzia come continui ad allargarsi la forbice fra lavoro dipendente e lavoro autonomo, che dal 64,6% del 2014 è salito al 65,5% nel 2015: era il 62,6% nel 2013, il 59,5% del 2012, il 57,4% nel 2011, il 55,7% nel 2010.

Su 50.674 giornalisti attivi iscritti all’Inpgi i lavoratori autonomi “puri” (quelli cioè iscritti solo all’Inpgi2) alla fine del 2015 erano 33.188 a fronte di 17.486 giornalisti dipendenti (il 34,5%).

Nonostante il lavoro autonomo cresca sia numericamente che in percentuale, resta molto rilevante il divario in termini di reddito rispetto al lavoro dipendente, anche se la distanza nel 2015 si è lievemente ristretta: dal 17,9% del 2014 al 18,5% del 2015.

Un giornalista autonomo guadagna in media 5,4 volte meno di un collega subordinato. Con la retribuzione media da lavoro autonomo in lieve calo: da 11.451 euro del 2014 a 11.241 euro nel 2015. Pur con qualche differenza tra gli autonomi a partita iva (reddito medio in aumento del 7% a 14.049 euro) e parasubordinati (con redditi in calo a 8.433 euro).

Nel 2015 aumenta anche il numero degli iscritti all’Inpgi2 con reddito zero: +11,7%, da 16.830 a 18.806 posizioni. In pratica, poco più di un giornalista autonomo su 2 (il 54,3%) denuncia un reddito superiore allo zero. Mentre 8 lavoratori autonomi su dieci (l’82,7%) dichiaravano redditi inferiori a 10.000 euro annui.

Non va meglio sul fronte del lavoro dipendente. Per la prima volta dal 1975 le posizioni contributive all’Inpgi – l’insieme dei giornalisti con almeno un contributo obbligatorio mensile versato nel corso degli anni – diminuiscono rispetto all’anno precedente. Alla fine del 2015 erano 27.784, 107 in meno rispetto al 2014.

Anche se l’emorragia di rapporti di lavoro rallenta rispetto al trend degli ultimi anni. Calano del 3,3% su base annua i rapporti di lavoro articolo 1 (erano diminuiti del 4,9% nel 2014); calano del 10,1% le figure previste dall’art. 12 del contratto; perdono il 3,6% gli articoli 2; mentre crescono dell’1% gli articoli 36. Infine, al 31 dicembre 2015 sono state 1.007 le domande di assunzione con sgravio presentate all’Inpgi.

Dati che, a volerne dare una lettura positiva, indicano un rallentamento del ritmo di indebolimento del lavoro giornalistico dipendente. Anche se, come sottolinea la presidente dell’Inpgi Marina Macelloni nella sua relazione al bilancio 2015, la fase recessiva del settore non può dirsi affatto conclusa.

Lo confermano la progressiva diminuzione del rapporto tra iscritti attivi e pensionati (che passa dal 2,17 del 2014 al 2,02 del 2015), il rapporto tra uscite per pensioni ed entrate per contributi correnti (dal 130,04% del 2014 al 138,90% del 2015) e il continuo aumento della spesa per gli ammortizzatori sociali, pari a 37,4 milioni di euro: circa 1,2 milioni rispetto al 2014 (+3,3%).