Basta complicità

Cesare Martinetti su lastampa.it

L’arresto di Giuliano Soria e le dimissioni degli scrittori da quel Grinzane che erano stati chiamati a «salvare» segnano la giornata più drammatica in questo caso dove, come in un torbido feuilleton a puntate, le violenze sessuali si mescolano ad oscuri imbrogli contabili e a un’infinita teoria di fiere delle vanità.

E naturalmente a complicità politiche e a malversazioni di denaro pubblico. Non si salva nessuno. E a questo punto è meglio che non si salvi nemmeno il Grinzane. Se fu vera gloria letteraria per qualcuno dei premiati, che sia consegnata alla memoria e agli archivi. Per il resto facciamo punto e a capo. Che i responsabili paghino e che nasca un altro premio, limpido, autorevole, rispettoso dei veri innamorati dei libri, quelli che – per esempio – inondano ogni anno la Fiera di Torino. E magari proprio in quell’ambito che ha la faccia pulita delle migliaia di ragazzi che vanno a cercare i loro scrittori.

Le rinunce di Piergiorgio Odifreddi, Dacia Maraini e Cristina Comencini a far da garanti per un ipotetico «nuovo» Grinzane rivelano ciò che era chiaro a tutti fin dal momento in cui il caso Soria è scoppiato: senza il suo Mangiafuoco, quel burattinaio iracondo e scortese, arrogante e ruffiano, il Grinzane non è nulla, un teatrino di carta, un castello in ristrutturazione disperso nella nebbia tra Langhe e Monferrato che nessuno ha mai visto dentro. E allora: basta. Che la magistratura e la Guardia di Finanza finiscano il loro lavoro. Ma intanto basta, non «moratoria» come pudicamente dice l’assessore Oliva. I pranzi, le cene, i viaggi per la solita combriccola sono finiti. Cresciuto sulle rassegne stampa, il Grinzane muore di rassegne stampa. C’est la vie.

Il «territorio», miticamente e ipocritamente evocato nel vorticoso moltiplicarsi di piccoli e grandi premi che il prestigiatore Soria cavava dal suo cappello, trovi un altro modo di spendere il denaro pubblico e di promuovere se stesso. Il premio Pavese dato a un oscuro direttore di banca non celebra un grande scrittore e non promuove Santo Stefano Belbo, ma liofilizza e banalizza un autentico mito letterario per tutelare soltanto una rete di amicizie (e forse complicità) private. Il barolo, i tartufi, le vigne delle Langhe non hanno bisogno di artifici pseudo letterari per farsi conoscere nel mondo.

Basta. Punto e a capo. Il brand del Grinzane esce stritolato dal gigantismo in cui l’ha trascinato il suo demiurgo trasformandosi in un grottesco specchio che ci consegna la vivida autobiografia di un segmento di Italia: scrittori veri e presunti, editori, intellettuali, letterati, giornalisti, produttori di vini, dolciumi e salumi, politici e assessori di destra e di sinistra attratti su una carta moschicida impastata di quella colla che si chiama vanità. Ieri sera, quando sono arrivati i finanzieri per arrestarlo, Mangiafuoco si aggirava nelle cantine del suo palazzo accanto alla Mole stipate di bottiglie di barolo. La festa è finita. Il Grinzane è morto, vivano i buoni libri.