Una professione da rifondare

Via OnLyon

Ci rifletto da giorni. Uno sta a studiare per diventare giornalista e poi si vede scavalcato da quello col cognome figo. Deve averlo pensato il ragazzo – un po’ provocatore – che domenica ha assistito alla tavola rotonda sui giovani e sul precariato al Festival del Giornalismo. C’era Claudio Cerasa, firma nota perché leggo il suo blog su il Foglio. Cerasa è caporedattore del giornale di Giuliano Ferrara. Cerasa è del 1982 e ha 28 anni. Claudio Cerasa – s’è scoperto grazie a questo ragazzo un po’ provocatore – dà buoni consigli su come entrare in una redazione, ma è figlio del caporedattore delle pagine romane di la Repubblica.

Nulla contro i figli di papà. Penso che anche loro abbiano bisogno della loro chance. E nulla contro Cerasa. Però non vorrei diventare anche io un provocatore perché – a un certo punto -mi ritroverò scavalcato, o perché mi ritroverò come collega un incompetente dal cognome che “mi suona già qualcosa”. I segnali ci sono tutti. L’ambiente è malato, lo si dice, sembra un cliché, ma è vero e nessuno fa niente. (Anzi, piuttosto si cercano maniere di limitare l’accesso alla professione di chi studia e fa il praticantato, vero caro sindacato nazionale dei giornalisti? Vero Franco Siddi?)

Questa settimana ho saputo che l’Ansa di Londra ha preso – non so se come stagista o come collaboratrice – la figlia di un noto personaggio dalla lunga e decorata carriera diplomatica. L’ha presa non proprio bene, diciamo che l’ha presa come un’imposizione dall’alto e una supposizione da dietro. Con tutte le difficoltà di entrare in un’azienda che è in stato di crisi, anche da stagisti, lei, questa ragazza carina classe 1988 ce l’ha fatta.

Ho anche saputo – durante una lezione del master che frequento per diventare giornalista senza ricorrere a raccomandazioni politiche, visto che mio padre non è un giornalista, un politico, un diplomatico o un imprenditore – che un ex direttore de la Stampa, uno che ha saputo farsi odiare in via Marenco, anni fa assunse come corrispondente dalla Germania la figlia del suo commercialista. (All’epoca i comitati di redazione fecero casino. Ma il sindacato nazionale disse niente su questa brutta pratica?)

Poi, stamane, mi sono ritrovato davanti un aggiornamento sul caso di Tommaso Debenedetti. Il redattore delle pagine culturali di Libero (sì, Libero ha delle pagine culturali), Francesco Borgonovo, ha scritto e ha parlato telefonicamente con Judith Thurman, la giornalista che sta approfondendo il caso Debenedetti. Borgonovo

the illustrious Debenedetti name was Tommaso’s calling card. (Tommaso’s father, Antonio, is a widely respected writer and critic, and his grandfather, Giacomo, was one of Italy’s most important literary critics of the last century.)Ecco. Debenedetti era affidabile per il suo cognome, per suo padre, e per suo nonno.
Ecco. È una giornalista americana a occuparsene. Avete sentito qualcuno dell’ordine o dei sindacati?

Quanti sono i casi così nelle redazioni italiane? Quanti sono i casi di “figli di” imposti dall’alto, come in due dei casi sopra menzionati, e o quelli di “figli di” introdotti nelle redazioni da un familiare che già ci bazzicca, facilitando notevolmente le cose rispetto a quanto accadrebbe a un semplice signor nessuno?

Solita anomalia italiana, penserà qualcuno. Non credo che sia tutta nostra, ma è probabile. Certo, una maniera per risolverla ci sarebbe: la trasparenza e la competizione, ciò che spinge a dare il meglio (magari senza doping). Perché il Washington Post può permettersi di mettere un annuncio tipo “Aaa Cercasi corrispondente di guerra”, come segnalava Mario Tedeschini Lalli sul suo blog? Perché l’ Economist può metterne uno per trovare un giornalista esperto di Africa?

In Italia, fatta eccezione de il Post per cui Luca Sofri aveva messo un annuncio on-line (capito, Luca Sofri, quello spesso criticato per essere figlio di papà a modo suo, apre le porte), se c’è un posto vagante, o se apre un nuovo giornale, lo sanno solo pochi intimi, la voce gira tra di loro, nelle redazioni, negli incontri, e si procede per cooptazione. È una cosa che non risparmia nessuno. Il Fatto assumerà tre giornalisti per il suo nuovo sito on-line. Voi avete visto annunci? Al massimo trovate gli annunci di giornali che propongono collaborazioni gratuite o vere e proprie truffe. E l’avete sentito il sindacato?