L’Ungheria come la Birmania

Via Pino Bruno

In confronto a quelle approvate poche ore fa dal parlamento ungherese, le leggi sulla stampa in vigore in Corea del Nord, Turkmenistan, Iran, Birmania, Siria, Sudan, Cina, Cuba e via censurando, sembrano giochi da ragazzi. Faranno di certo precipitare l’Ungheria dal ventitreesimo posto agli abissi della classifica mondiale sulla libertà di stampa elaborata ogni anno da Reporters sans frontières. Non sono provvedimenti tollerabili, nell’Unione Europea.

Da ieri la stampa in Ungheria non è più libera. Il Parlamento, con i voti della maggioranza conservatrice, ha approvato infatti l’ultimo tassello della ‘legge bavaglio’ sui media, una riforma che consente al governo del premier Viktor Orban ampio controllo su tutti gli organi di informazione: radio, televisione, giornali, e anche internet. E’ l’ultima stazione di un lungo processo cominciato a luglio, subito la conquista del partito conservatore Fidesz di una maggioranza di due terzi alle politiche, conseguendo così un potere eccezionale, senza precedenti nella storia dell’Ungheria democratica, che consente di modificare la Costituzione e la struttura dello Stato.

Per la stampa, a luglio era stata istituita un’Autorità nazionale delle telecomunicazioni, con a capo un garante, Annamaria Szalai, vicina del premier Orban, e investita di un mandato blindato di nove anni e facoltà di emanare decreti. Poi è stato istituito un ente unico di cui fanno parte la televisione pubblica (Mtv e Duna), la radio pubblica (Mr) e l’agenzia stampa Mti, con direttori nominati dal garante. Ieri, infine, il varo definitivo di una legge di 175 articoli che regola il comportamento degli organi di stampa in nome di un imprecisato ”interesse pubblico”.

Nei giorni scorsi l’International Federation of  Journalist (EFJ) aveva stigmatizzato il provvedimento. Appello caduto nel vuoto.

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