La ciberguerra di Wikileaks secondo Manuel Castells

Via Internazionale

Il potere sta nel controllo della comunicazione, come scrivevo nel mio libro che si chiamava appunto Comunicazione e potere. La reazione isterica degli Stati Uniti e di altri governi contro Wikileaks lo conferma. Siamo entrati in una nuova fase della comunicazione politica. Non tanto perché sono stati rivelati segreti o pettegolezzi, quanto per la loro diffusione attraverso un canale che sfugge al controllo degli apparati.

La fuga di notizie riservate è la fonte del giornalismo investigativo sognata da qualsiasi mezzo d’informazione in cerca di uno scoop. Dai tempi di Bob Woodward e della gola profonda del Washington Post, la diffusione di informazioni teoricamente segrete viene protetta dalla libertà di stampa. La differenza sta nel fatto che i mezzi d’informazione tradizionali fanno parte di un contesto imprenditoriale e politico soggetto a delle pressioni. Internet è più libera. La rete è protetta dal principio costituzionale della libertà di espressione, e i giornalisti dovrebbero difendere Wikileaks, perché i prossimi a essere attaccati potrebbero essere loro.

Nessuno mette in dubbio l’autenticità dei documenti trapelati. Anzi, diversi giornali importanti stanno pubblicando e commentando questi documenti per la felicità dei cittadini, che così fanno un corso accelerato sulle miserie dei corridoi del potere. Il problema, si dice, è la fuga di informazioni segrete che potrebbe mettere in difficoltà le relazioni tra paesi. In realtà bisognerebbe paragonare questo rischio a quello che si corre nascondendo ai cittadini la verità sulle guerre che gli stessi cittadini pagano e subiscono.

La posta in gioco è il controllo dei governi sulle loro fughe di notizie e sulla loro diffusione attraverso mezzi alternativi che sfuggono alla censura. Una questione fondamentale, che ha provocato una reazione senza precedenti negli Stati Uniti (con un appello per assassinare Assange lanciato da alcuni leader repubblicani e persino da certi columnist del Washington Post) e un allarme mondiale generalizzato che va da Chávez a Berlusconi.

La controffensiva online non si è fatta attendere. Gli attacchi dei servizi di intelligence contro Wikileaks sono falliti perché si sono moltiplicati i siti mirror, copie costantemente aggiornate del sito esistente, con un altro indirizzo. A tutt’oggi ce ne sono più di mille (per vederli digitate su google “wikileaks mirror”).

Come rappresaglia, Anonymous, una rete di hacker, ha attaccato le aziende e le istituzioni che hanno provato a far tacere Wikileaks. Migliaia di persone si sono unite alla festa attraverso Facebook e Twitter.

In questo grande dibattito i protagonisti saranno le aziende di internet che si sono autoproclamate piattaforme di libera comunicazione e i mezzi d’informazione tradizionali così gelosi della loro libertà. La ciberguerra è cominciata. Non una ciberguerra tra stati, ma tra gli stati e la società civile online. I governi non potranno più essere sicuri di poter mantenere i cittadini all’oscuro delle loro decisioni. Perché fino a quando ci saranno persone disposte a fare dei leak e una rete popolata da wiki, nasceranno nuove generazioni di wiki-leaks.