Pubblicisti brava gente – update

Franco Abruzzo nota che qualcosa non quadra nell’intervento del presidente ODG sulla questione dei pubblicisti

Chi ha frequentato le facoltà di giurisprudenza o di Scienze politiche sostiene nel primo anno l’esame di Diritto costituzionale o di Diritto pubblico e, quindi, sa perfettamente che le leggi hanno un cappello che guida la lettura di tutto l’articolato. Questo principio è stato rispettato dal Governo Berlusconi quando ha varato il dl 138/2001 convertito dal Parlamento con la legge 148/2001. Questa legge è importante perché contiene un articolo 3, comma 5, che disegna la più radicale riforma degli ordinamenti professionali dopo 30 anni di dibattito. Va letto in simbiosi con le direttive comunitarie che dal 1988 in poi richiedono ai professionisti una laurea almeno triennale e un “esame attitudinale” (equivalente al nostro esame di Stato previsto dall’articolo 33, V comma, della Costituzione, per “l’abilitazione all’esercizio professionale”). E’ altresì noto che le direttive comunitarie prevalgano sulla normativa interna o nazionale. Per quanto riguarda l’Ordine dei giornalisti l’Europa ne ha previsto la legittimità (in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=5828) al pari della Corte costituzionale (sentenza 11/1968 in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=5813).

Oggi Enzo Iacopino, con un lunghissimo articolo, omissivo in alcune parti essenziali, tenta di dimostrare che i dl 138, 183 e 201/2011 non parlano dell’esame di stato e scrive testualmente nell’articolo pubblicato qui sotto: “La legge in vigore prevede l’abrogazione delle norme esistenti solo nelle parti che sono in conflitto con le lettere da a) a g) dell’articolo 33 (?, ndr) comma 5. Il legislatore non ha scritto, ad esempio, che vengono abrogate le norme che siano in contrasto con quanto previsto dall’articolo 33 (?, ndr) comma 5 fino alla lettera g) compresa. Ma solo con quanto dettato dalle lettere da a) a g). Il primo capoverso del comma 5, dunque, non è richiamato: era questo che faceva riferimento all’esame di Stato ed è questo che aveva indotto i colleghi pubblicisti ad una ribellione sacrosanta, che ho cercato di rappresentare al presidente Monti, pubblicamente nel corso della conferenza stampa e, sia pur brevemente, in privato”. Ma cosa dice il preambolo/premessa denominato “comma 5”? Eccone il testo:

“COMMA 5. Fermo restando l’esame di Stato di cui all’articolo 33, quinto comma, della Costituzione per l’accesso alle professioni regolamentate, gli ordinamenti professionali devono garantire che l’esercizio dell’attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l’effettiva possibilità di scelta degli utenti nell’ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti. Con decreto del Presidente della Repubblica emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto per recepire i seguenti princìpi:…”. (Le 4 leggi 2011 sulle professioni sono in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=7691).

Il comma 5 si colloca come preambolo o premessa rispetto ai principi che seguono dalla lettera a) alla lettera g). Non è possibile slegare la premessa dai principi, perché altrimenti non si capirebbe il riferimento al tirocinio (=praticantato) se non si lega all’esame di stato che è la conclusione logica del tirocinio medesimo (che non è richiesto ai pubblicisti). Da queste considerazioni si comprende che Iacopino ha tentato, fallendo, una operazione elettorale per salvare la sua cadrega sorretta dai consiglieri nazionali pubblicisti dell’Ordine (in http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=7982). I passaggi cruciali della riforma delle professioni delineata nei dl 138, 183 e 201/2011 sono questi:

AA) l’accesso alla professione è libero e il suo esercizio è fondato e ordinato sull’autonomia e sull’indipendenza di giudizio, intellettuale e tecnica, del professionista;

A) Con decreto del Presidente della Repubblica emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, gli ordinamenti professionali dovranno essere riformati entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore del decreto 138 (13 agosto 2012, ndr);

B) rimane in vigore (ovviamente) l’esame di Stato di cui all’articolo 33, quinto comma, della Costituzione per l’abilitazione all’esercizio professionale e per l’eccesso alle professioni intellettuali regolamentate;

C) gli ordinamenti professionali dovranno prevedere l’istituzione di organi a livello territoriale, diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali sono specificamente affidate l’istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina. (Detti organi sono noti come “Consigli di disciplina”);

D) scompaiono le tariffe. Il compenso spettante al professionista è pattuito per iscritto all’atto del conferimento dell’incarico professionale;

E) nascono le società tra professionisti (stp), che potranno essere indifferentemente società di persone, società di capitali e società cooperative. Tale società dovrà evidenziare la sua particolare natura rispetto alle società “normali” apponendo, nella ragione sociale, l’espressione “società tra professionisti”. I soci della Stp potranno essere: •professionisti iscritti a Ordini, Albi e Collegi; •professionisti di Stati UE; •soggetti non professionisti “soltanto per prestazioni tecniche”; •soggetti non professionisti che diventano soci della Stp “per finalità di investimento”, cioè i soci di capitale. La legge non dice nulla, invece, sulla ripartizione del capitale tra professionisti e non professionisti.

F) obbligo per il professionista di seguire percorsi di formazione continua permanente predisposti sulla base di appositi regolamenti emanati dai consigli nazionali;

G) a tutela del cliente, il professionista è tenuto a stipulare idonea assicurazione per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale;

H) la pubblicità informativa, con ogni mezzo, – avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni -, è libera. Le informazioni devono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere equivoche, ingannevoli, denigratorie;

I) la disciplina del tirocinio per l’accesso alla professione deve conformarsi a criteri che garantiscano l’effettivo svolgimento dell’attività formativa e il suo adeguamento costante all’esigenza di assicurare il miglior esercizio della professione. Al tirocinante dovrà essere corrisposto un equo compenso di natura indennitaria, commisurato al suo concreto apporto. Al fine di accelerare l’accesso al mondo del lavoro, la durata del tirocinio non potrà essere complessivamente superiore a diciotto mesi e potrà essere svolto, in presenza di una apposita convenzione quadro stipulata fra i Consigli Nazionali e il Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, in concomitanza al corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Le disposizioni della presente lettera non si applicano alle professioni sanitarie per le quali resta confermata la normativa vigente;

L) Le norme vigenti sugli ordinamenti professionali – in contrasto con i princìpi di cui al comma 5, lettere da a) a g), del dl 138/2011 – sono abrogate con effetto dalla data di entrata in vigore del regolamento governativo di cui al comma 5 e, in ogni caso, dalla data del 13 agosto 2012. Il Governo, entro il 31 dicembre 2012, provvederà a raccogliere le disposizioni aventi forza di legge che non risultano abrogate per effetto del comma 5-bis, in un testo unico da emanare ai sensi dell’articolo 17-bis della legge 23 agosto 1988, n. 400

Il comma 5 dell’articolo 3 del dl 138/2011 (convertito dalla legge 148/2011) letto unitariamente dà per scontato che l’accesso a tutte le professioni intellettuali è vincolato al superamento dell’esame di Stato previsto dall’articolo 33 (V comma) della Costituzione (equivalente alla prova attitudinale di cui alla direttiva comunitaria n. 89/48/CEE oggi assorbita nel dlgs 206/2007). Finora era stato tenuto sotto traccia il vero problema che tormenta il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti: i pubblicisti, che, in base al comma 5 citato, non hanno futuro. Se è vero che l’accesso alle professioni è vincolato al superamento dell’esame di Stato – (per i giornalisti professionisti è così in base agli articoli 29 e 32 della legge 69/1963 come interpretati dalla II sezione del Consiglio di Stato con il parere 2228 depositato il 7 maggio 2002; n della sezione 448/2001) -, i pubblicisti scompaiono dalla vita dell’Ordine dopo 83 anni dalla istituzione giuridica di questa figura avvenuta con il Rd 384/1928. Il presidente del Consiglio nazionale stenta a comprendere che, dopo il dl 138/2011 e il varo dei connessi decreti attuativi, ai Consigli regionali dell’Ordine sarà vietato procedere alla iscrizione di nuovi pubblicisti. Questo discorso regge anche se prima del 13 agosto 2012 non verrà varato il dpr sui giornalisti perché dal giorno successivo decadranno automaticamente (art. 33 del dl 201/2011) tutte le norme attuali (presenti nella legge 69/1963) in contrasto e in conflitto con i principi fissati nel comma 5 dell’articolo 3 del dl 138/2011: parliamo dell’elenco dei pubblicisti e della normativa deontologica che dovrà essere trasferita ai “Consigli di disciplina”. Il problema è: qual è il destino degli attuali iscritti all’Albo dei pubblicisti? Le risposte empiriche (e pratiche) possono essere tre:

a) i Consigli regionali dell’Ordine dovrebbero ammettere all’esame di Stato tutti quei pubblicisti che, 730 in mano, dimostrano di vivere esclusivamente di giornalismo (come è avvenuto dal 1969 in poi in Lombardia);

b) l’Albo dei pubblicisti potrebbe rimanere in vita ma come Albo ad esaurimento. Anche per garantire i diritti contrattuali e previdenziali di chi è assunto a tempo pieno, parziale, come collaboratore fisso, corrispondente o nelle redazioni decentrate;

c) l’Inpgi non avrebbe alcun danno dalla scomparsa della figura giuridica del pubblicista. Basterà introdurre una modifica allo Statuto della gestione separata in base al quale potranno iscriversi coloro che svolgono “attività giornalistica libera” con contratto d’opera (articolo 2222 del Codice civile). Questa soluzione è già presente nel Cnlg Fieg/Fnsi (articolo 5 dell’Accordo collettivo nazionale): “Art. 5). Le parti confermano gli usi e le consuetudini in atto nel settore dell’informazione
per gli operatori non giornalisti che alimentano la rete informativa dei giornali con
collaborazioni anche saltuarie, rese in regime di autonomia, con carattere accessorio rispetto ad altre diverse attività professionali o lavorative principali svolte dagli interessati”. Sul fronte della deontologia, il Codice sulla privacy vincola coloro che svolgono attività giornalistica a prescindere dall’iscrizione all’Albo, mentre il segreto professionale è garantito a tutti i cittadino europei dall’articolo 10 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Anche il Parlamento europeo ha dettato regole deontologiche a coloro che svolgono l’attività giornalistica a prescindere dall’iscrizione ad Albi.

Il Consiglio nazionale dell’Ordine ha prospettato al Ministero della Giustizia l’individuazione per i pubblicisti di un “percorso formativo professionalizzante”, che, comunque, non può prescindere dall’esame di Stato (art. 33, V comma, della Costituzione). La Cassazione ha scritto più volte che i pubblicisti non possono lavorare nelle redazioni. La strada è stretta e Iacopino lo sa.