I furbetti dello stato di crisi e il futuro difficile dell’INPGI

Lettera 43 esamina la crisi dei quotidiani e il difficilissimo futuro dell’INPGI

Dal 2009 a oggi sono state 37 le aziende editoriali a cui il ministero del Lavoro ha riconosciuto lo stato di crisi, concedendo di mandare in prepensionamento 591 dipendenti e1.210 giornalisti in cassa integrazione straordinaria e di applicare a ben 1.019 lavoratori i contratti di solidarietà.
Una cura da cavallo che non è bastata a guarire il sistema dell’informazione sempre più in difficoltà. E così anche nel 2012 lo scenario rischia di essere uguale o peggiore di quello del 2011: serrate, redazioni decimate dalle ristrutturazioni, ricavi della pubblicità in continuo calo, blocco del turn over, aumento del precariato. E altri stati di crisi: Rcs periodici oltre a dover assorbire i giornalisti di City, ha già firmato l’accordo per altri 22 prepensionamenti, Il giornale di Sicilia ne ha chiesti 11, Il Sole 24 Ore e Radiocor hanno attivato i contratti di solidarietà, che a breve saranno applicati anche a Radio24 e alle Guide del Sole.

Intanto però la campana di allarme è già suonata per l’editoria di partito, di cooperativa, di idee e non profit, che in attesa della riforma rischia di scomparire per mancanza di liquidità. Secondo i calcoli della Fnsi entro fine 2012 potrebbero chiudere almeno un centinaio di testate, già 30 nei prossimi mesi «e tante altre sono border line», denuncia Siddi.
A rischio sono Liberazione, che dopo il naufragio in edicola cerca di approdare online, il Manifesto che è in mano ai liquidatori, l’Unità alla disperata ricerca di un acquirente, Finanza e mercati di Editori per la Finanza, che fa capo al costruttore Danilo Coppola, uno dei furbetti dell’operazione Bnl. Ma anche La Cronaca di Piacenza e di Cremona che dal 22 gennaio hanno sospeso le pubblicazioni, il quotidiano Informazione-il Domani che dal prossimo primo febbraio non sarà più in edicola dopo l’annuncio dell’azienda Editoriale Bologna Srl che metterà 36 giornalisti delle tre redazioni di Bologna, Modena e Reggio Emilia in cassa integrazione.
I problemi però sono annosi, gli ultimi in ordine di tempo sono i tagli lineari fatti con la legge di stabilità al fondo per l’editoria che, a fronte di un fabbisogno pari a 160 milioni di euro, nel 2012 è per ora di circa 52 milioni di euro. «Negli ultimi tre anni il taglio tra contributi diretti e indiretti è stato del 45%», dice il segretario della Fnsi.
A questo intervento, in poco meno di un mese, si è aggiunto quello contenuto nel decreto salva-Italia che all’articolo 29 ha stabilito la fine dei contributi diretti all’editoria a partire dal 2014.

«Negli ultimi due anni si sono persi 700 posti di lavoro su 18.500 per la ristrutturazione. Nel 2011 per la prima volta nella storia abbiamo avuto un saldo negativo di 250 unità tra i licenziamenti e nuovi assunti. Quest’anno, senza i contributi pubblici, rischiamo di perdere altri 400 posti di lavoro», dice Siddi, che non parla più di «salvare realtà editoriali da un’ondata di crisi, ma di gestire situazioni di crisi senza ritorno». A cui si aggiunge ora «la preoccupazione per la radiotelevisione locale a causa del passaggio dall’analogico al digitale, che ha creato molte più realtà lasciando però la stessa fetta del mercato pubblicitario da spartire», dice a Lettera43.it Andrea Camporese, presidente dell’Inpgi (l’ente di previdenza dei giornalisti).
«I trend però sono negativi e lo sono da anni», riconosce Camporese. «Il declino dell’occupazione nella carta stampa è nato sette anni fa, molto prima della crisi». Una diminuzione degli occupati per anni totalmente compensata e superata dalla crescita dell’occupazione nel sistema della radiotelevisione locale e degli uffici stampa pubblici.
Un’ancora di salvataggio che ormai da tre anni «non riesce a compensare le perdite nella carta stampata», osserva Camporese: «Si sono fermati a circa 2 mila gli occupati degli uffici stampa pubblici e a 2 mila quelli della radiotelevisione locale. Si è saturato un mercato».

Ma se a soffrire di più sono le piccole realtà, anche quelle grandi continuano a inviare segnali non rassicuranti. Come scriveva Georges Clémenceau, «i giornalisti sono come le donne: le amanti che non domandano niente sono quelle che costano di più».
Sebbene infatti non usufruiscano di finanziamenti pubblici, grandi gruppi come Ansa, Hachette Rusconi, Mondadori, Rcs Periodici, Rcs quotidiani, Il Sole 24 Ore e l’Espresso negli ultimi tre anni hanno chiesto lo stato di crisi e ottenuto il permesso di prepensionare 352 persone su 591 autorizzazioni concesse dal ministero a tutte e 37 le aziende editoriali richiedenti.
Ad accudire i prepensionati però ci pensa l’Inpgi che gestisce un Fondo finanziato dallo Stato con 20 milioni di euro l’anno, a cui si aggiunge un versamento dell’editore che paga un contributo straordinario del 30% del costo del singolo pensionamento anticipato.
Una risorsa che seppur cospicua sta per finire: «Oggi la capienza del fondo è minore, più della metà è già state usate nel 2011, nei prossimi due o tre anni la quota di prepensionamenti che possiamo sostenere non va oltre le 600 persone», dice Camporese.