Il vero obiettivo della legge anti intercettazioni

Via Lavoce.info

Il mondo dell’informazione si è compattato nelle ultime settimane, coinvolgendo giornalisti con posizioni politiche anche diverse, nell’opporsi al disegno di legge sulle intercettazioni. È un segnale importante che fa emergere i media come uno dei poteri di controllo all’interno di una società democratica. L’impossibilità di riportare notizie e atti di inchiesta fino al termine dell’udienza preliminare, anche quando questi stessi documenti non siano più coperti dal segreto istruttorio, appare un esercizio di arroganza del potere politico che molti costituzionalisti giudicano destinato a un nuovo frontale con la valutazione della Corte costituzionale. Il divieto di pubblicare il contenuto delle intercettazioni contenute negli atti, nemmeno in forma di riassunto, limita ulteriormente il ruolo dell’informazione nell’orientare l’opinione pubblica. E confonde alcuni eccessi, che pur si sono verificati nella ricerca del particolare sensazionale quanto irrilevante nell’ambito delle indagini, con un bando generalizzato che impedisce al cittadino di conoscere.

Ma questo esercizio, purtroppo, è una sottostima di quanto sarebbe avvenuto con la nuova legge, poiché non può valutare quello che è il vero effetto dirompente di un uso ridotto e addomesticato delle intercettazioni, vale a dire una capacità molto meno incisiva delle inchieste giudiziarie nel reperire evidenze e prove. Molto probabilmente di alcune delle indagini giudiziarie citate in quegli articoli non avremmo saputo non tanto per il bavaglio ai giornali, quanto per l’impossibilità di raggiungere gli elementi di prova messi assieme anche attraverso le intercettazioni dalla magistratura inquirente.
Nella discussione di oggi non vorremmo quindi che la giusta reazione dei media spostasse l’attenzione della discussione dal problema cruciale: le intercettazioni sono uno strumento di indagine e reperimento delle prove essenziale per la magistratura, senza cui le indagini avrebbero meno capacità di incidere. È prima di tutto su queste limitazioni che va condotta una battaglia civile. A cui unire la difesa del diritto di cronaca. Non vorremmo invece che la discussione cadesse nella trappola evidente predisposta dal governo, con una attenzione focalizzata sui diritti di informare i cittadini, ma meno vigile sulla difesa dello strumento di indagine per il lavoro dei magistrati. Sarebbe un triste paradosso quello di una battaglia al calor bianco in cui il diritto di cronaca uscisse alla fine meno compresso, salvo poi accorgerci che poco o nulla i giornali potrebbero raccontare ai propri lettori in merito al lavoro della magistratura per la impossibilità delle indagini giudiziarie di raggiungere risultati.