Da Libero via Dagospia, nel frattempo anche NTV scalda i motori per entrare nel mercato dell’Alta velocità nell’estate 2011. I consumatori sperano che la concorrenza faccia scendere i prezzi
Giacca, cravatta, ventiquattr’ore e via a 300 chilometri orari. Non sono pirati della strada, ma i nuovi manager. Dirigenti, funzionari, capitani d’industria che per spostarsi preferiscono rimanere con i piedi per terra. I cieli, ovviamente, restano ancora affollati, ma da quando sui binari si viaggia veloci l’esercito dei “pendolari di lusso” si ingrossa giorno dopo giorno.
E non solo per scelta. Moltissime imprese, complice anche la crisi che ha imposto una riduzione dei costi, hanno infatti negli ultimi mesi cambiato la politica aziendale sugli spostamenti di lavoro riducendo ai minimi termini o annullando del tutto i viaggi in aereo. In questa direzione si stanno muovendo gradualmente grandi gruppi come Sky Italia, Enel, Engineering, Poste e colossi del credito come Intesa Sanpaolo e Unicredit.
Con il decreto anticrisi il governo finanzia la privatizzazione della Tirrenia con 65 milioni di euro per ciascuno degli anni 2009, 2010 e 2011. L’operazione, che rientra nel più ampio quadro della liberalizzazione del cabotaggio in Italia imposta dalla Ue, dovrebbe andare in porto nel 2012. Dovrebbe, perché «sulle prospettive del gruppo permane un clima di incertezza che non giova all’esigenza di definire in tempi rapidi» tale processo. Anzi, tutta la vicenda, compreso il passaggio alle Regioni delle quattro compagnie controllate, che coprono i collegamenti con le isole minori, «si trova in una situazione di stallo che non offre prospettive di possibile soluzione in tempi brevi».
Alcuni di questi segnali sono purtroppo di carattere strutturale. Ha ragione Umberto Bossi quando afferma che, se Malpensa non sarà uno hub, ossia uno scalo centrale, al quale faccia capo un gran numero di voli, Alitalia correrà un forte rischio di fallimento; ma è purtroppo anche vero che né la nuova Alitalia né l’Italia hanno le dimensioni necessarie per permettersi due hub. In base a considerazioni puramente economiche, un paese come l’Italia dovrebbe avere un solo grande hub delle dimensioni di Parigi ma, data la geografia, le localizzazioni produttive e quelle turistiche, questo semplicemente non si può fare. Per conseguenza, un sistema aeroportuale che riservi un ruolo importante, a livello europeo e mondiale, sia a Fiumicino sia a Malpensa, non può che operare in perdita: rappresenta quindi un costo aggiuntivo per il «sistema Italia» e per il contribuente italiano che possiamo chiamare il «prezzo della geografia». E non appare corretto da parte leghista invocare da un lato il regionalismo e l’autonomia, ossia il lato vantaggioso della geografia, e dall’altro reclamare che di fatto sia il governo centrale ad accollarsi il più che prevedibile deficit di Fiumicino-Malpensa.