L’informazione in Italia, l’accordo truffa della Bisanzio che va a morire e le compiacenze di Renzi il padrone di tutto

Il riassunto di sfruttamenti, asservimenti e schiavismi politici

Per capire come siamo arrivati al “nuovo contratto” spacca-ossa dei giornalisti – dai dipendenti ai precari, dai finti lavoratori autonomi ai disoccupati, dai freelance ai prepensionati – bisogna ricostruire le varie tappe, con l’aiuto di alcuni dietro le quinte, molte confessioni dei protagonisti e qualche indiscrezione accertata dall’incrocio con le varie fonti.

Innanzitutto, lo sbandierato “nuovo contratto” del lavoro giornalistico è un vero e proprio contratto? Sì e no. A leggere bene i documenti firmati dal segretario nazionale della Fnsi, Franco Siddi, dalla Giunta esecutiva del sindacato spaccata come non mai, dalla Fieg, con la supervisione di Palazzo Chigi e la trepida attesa del presidente dell’Inpgi, Andrea Camporese – il quale altrimenti rischierebbe di vedersi saltare a breve i conti dell’Istituto di previdenza tra le mani – ricorre continuamente la dicitura “accordo sul rinnovo contrattuale”. Cosa vuol dire? Una cosa molto semplice. Nella sostanza – cosa di cui sono consapevoli tutti gli attori in causa, meno che i diretti interessati ossia i giornalisti stessi – quello firmato nei giorni scorsi è un accordo-ponte valido fino al 2016, quando si dovrà veramente scrivere il nuovo contratto e per il quale gli editori si stanno già preparando a dare la spallata finale alla categoria: niente integrativi, azzeramento delle indennità delle domeniche lavorate, dei notturni, e così via. In sostanza, resta il vecchio contratto con l’inserimento delle parti normative nuove (250 euro al mese agli autonomi, stipendi depotenziati per i precari, eliminazione della fissa) più la parte economica: 60 euro lordi al mese per gli art.1, ancora però da definire.

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Giornalisti: storie allucinanti che nessuno ha raccontato (fino a ieri)

Via Terrelibere; da leggere: Quattro per cinque e da seguire l’omonima campagna

Qualcuno ha parlato, ma ha chiesto di rimanere anonimo. Qualcun altro ha scelto di firmare, ma non se la sente di rifiutare il lavoro sottopagato perché ha bisogno di soldi. Tutti hanno paura. Disponibili pure a Natale, per pochi spiccioli, ma senza diritti e dignità. Queste storie sono una prima breccia nel muro di silenzio. I giornalisti umiliati e sfruttati non devono sentirsi isolati. Non è un problema personale, ma collettivo. Il primo passo è immaginarsi come categoria.

In questa bacheca ci sono le storie di chi ha deciso di dire `basta` allo sfruttamento dentro e fuori le redazioni giornalistiche. Le storie non corrispondono alle adesioni della campagna perche` ci sono giornalisti che hanno deciso di inviare una testimonianza pur non sentendosi pronti a rifiutare il lavoro sottopagato. E viceversa c`è chi ha aderito senza inviare testimonianze. Alcune le pubblichiamo anonime, garantendo la riservatezza alle nostre fonti. A queste persone va tutto il nostro sostegno. A chi si espone e a chi non vuole dire il suo nome.

I giornalisti italiani hanno paura. Temono gli altri colleghi e l`editore, temono il sindacato che non li tutela. Hanno subito ricatti e intimidazioni all`interno delle redazioni perchè chiedono un lavoro dignitoso. Hanno motivo di credere che potrebbero perdere il poco ottenuto, cioè l`elemosina dei pochi euro a pezzo. Spesso i più timorosi non sono giovani alle prime armi, ma professionisti con dieci anni di esperienza alle spalle e le agendine piene di contatti che servono come il pane al datore di lavoro che li sfrutta. Ecco la verità nascosta dell`informazione italiana. I giornalisti precari e freelance sono minacciati dalle redazioni con cui collaborano nel momento in cui chiedono dignitose condizioni di lavoro. E` lo scandalo e la vergogna dell`informazione italiana.

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Lo sporco che cola del giornalismo italiano

Sarebbe importante che si iniziassero a fare i nomi degli stfuttatori, che sono ad oggi molto più frequenti nei media tradizonali e che spesso restano impuniti per le omertà di giornalisti o sindacalisti complici. E così la credibilità di giornalisti ed editori finisce ai minimi storici. Si potrebbe dire l’omicidio di massa per ingordigia del sistema dell’informazione italiana. Via Larepubblicaceglistagisti

Ho 26 anni e il giornalismo è la mia grande passione: compro cinque-sei quotidiani ogni giorno, leggo di tutto e mi informo su qualsiasi argomento. Se potessi lavorare per Report vedrei avverarsi un sogno. Per diventare pubblicista, ho accettato di pagarmi da sola i contributi scrivendo per un blog online con incarichi da freelance ufficialmente retribuiti. In realtà, il mio direttore mi rilascia le ritenute d’acconto e io gli restituisco i soldi in contanti. Ovviamente non ho nessuna retribuzione: di fatto, pago in tasse circa 160 euro ogni sei mesi e in più lavoro gratuitamente per scrivere gli 80 articoli in 2 anni richiesti dall’Ordine del Lazio

Come sono arrivata a questo punto? La mia storia è semplice: mi sono laureata nel 2007 alla facoltà di Scienze umanistiche della Sapienza di Roma. Avevo già in mente l’obiettivo del giornalismo, ma ho voluto evitare la laurea in scienze delle comunicazioni perché è considerata un po’ un “parcheggio” e perché qui a Roma c’erano già migliaia e migliaia di iscritti con lezioni tenute nei cinema. I miei sono della provincia, quindi ho anche i problemi e le spese di chi vive fuori sede. Dopo la laurea mi sono messa in cerca di annunci da parte di giornali disposti a pagare le ritenute d’acconto per diventare pubblicista. Ho trovato soltanto un quotidiano che però non pagava gli articoli, neanche in nero: ne ho approfittato per fare più o meno un anno di pratica in redazione, a titolo totalmente gratuito, e nel frattempo mi sono cercata uno stage. Sono stata tirocinante in una grande emittente televisiva per circa 6 mesi, dove mi sono occupata dell’ufficio stampa di una trasmissione d’informazione, poi sono stata per qualche altro mese in una radio della capitale, e infine ho iniziato uno stage in un’agenzia stampa. Me ne sono andata subito, però, perché ormai avevo capito l’andazzo ed ero proprio stufa: anche qui facevano moltissima leva sul lavoro dei ragazzi, chiedendoci di lavorare per nove ore al giorno, il tutto senza nessuna retribuzione o rimborso spesa, neanche i ticket per la mensa.

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Lottare via internet per il proprio lavoro funziona

quarto-statoI risultati recenti di molti casi di  singoli o di casi aziendali sono l’ennesimo successo della difesa in rete dei lavoratori.  Attraverso la  lotta in rete gestita da siti che  fanno attivismo e informazione che non riusciva a passare attraverso i filtri perbenisti o anche solo annoiati della stampa old media si ottengono straordinari risultati di tutela dei propri diritti calpestati. La rete, i network sociali, i media fuori da un controllo bottom up sono una straordinaria arma per difendere il proprio lavoro, la dignità del proprio lavoro, la prosecuzione del proprio lavoro da sopprusi e ingiustizie o, se il caso, da datori di lavoro banalmente delinquenziali.

Le informazioni circolano veloci in rete e si è competenti e bravi per gestire la rete e il flusso informativo i risultati sono straordinari. Una volta se un singolo o un gruppo di lavoratori subivano delle vessazioni dovevano subire, rivolgersi ai sindacati, ricorrere alla giustizia ordinaria, cercare spazi non facili sui media. Spesso si doveva subire in silenzio vessati e presi per i fondelli.

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Gli schiavi della Umbro e della nazionale UK

Via Repubblica

Indossate da miliardari, ma prodotte in una fabbrica dove le lavoratrici percepiscono un salario di 2 euro al giorno, lavorando in condizioni di totale sfruttamento. Scandalo sulle nuove casacche della nazionale di calcio inglese, svelato dal domenicale News of the World, che ha scoperto la fabbrica Pt Tuntex delle maglie, di marca Umbro, vendute al pubblico a 49 sterline l’una, a Tangerang (2 ore d’auto da Giakarta), circondata da filo spinato e da guardie armate.

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