Informazione liquida

Via Vittorio Zambardino

Cosa dice ai giornali la teoria-Jarvis? Dice: accettate che il mondo, fra dieci anni, vivrà secondo una sensibilità e un approccio alla conoscenza che sarà così “liquido” da non poter più essere compatibile con la lettura sequenziale del giornale, con la sua chiave interpretativa del mondo e con le sue opinioni, che non accetterà le sue gerarchie culturali. Quella liquidità, quella conoscenza per frammenti ha la sede della sua sintesi nell’individuo ( che magari la delega agli opinionisti/predicatori) e potrà anche avere manifestazioni discutibili ma è e sarà sempre più la “struttura” e la “forma” dell’opinione pubblica dei prossimi anni. Il suo paradigma.

Conviene questa dissoluzione del giornale per passare alla “pura essenza” del giornalismo? Non conviene, anzi è un inganno mortale, perché la notizia non è un contenuto, è il nome e l’opera del giornale. Ma per respingerlo, l’inganno, c’è bisogno di parlare la nuova lingua della trasformazione. E di parlarla da subito.

Ai giornali il pubblico internet non chiede di diventare un bazar di trucchi e diavolerie tecnologiche, non chiede nemeno di destrutturarsi per lasciar posto al “contenuto degli utenti”.  La tecnologia, quando non è piattaforma abilitante della comunicazione, non serve a niente. La forma tecnologica di oggi – come la carta 200 anni fa – è il simulacro di una relazione sociale nuova con il “popolo” che legge – giovani e meno giovani, gente che non si è mai avvicinata all’informazione, ma che gira il mondo o sta in un ufficio e ha dell’informazione un bisogno spasmodico, continuo, desiderante, “prodotto” dalle macchine della conoscenza che sono il suo nuovo strumento di lavoro. La tecnologia è la “carta” che permette di raggiungere il nuovo pubblico laddove questo vive e pensa. Dunque impossibile ignorarla.

Eppure c’è una verità nella teoria Jarvis. C’è che questo pubblico non chiede snack-news in poche righe, più la borsa più il meteo e magari il traffico sulla tangenziale. Chiede l’informazione che fa vivere la democrazia, quella che controlla il potere, quella che svela gli arcani, chiede di “identificarsi” con un potere civile del giornalismo. Quando lo vede all’opera, spesso non lo riconosce e si accontenta di pessimi surrogati. Ma i surrogati – dicono i nostri vecchi – giravano durante la guerra, quando c’era pochissimo da mangiare.

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