Che si sono detti il ministro Severino e i rappresentanti degli ordini (dei giornalisti)

Il ministro Paola Severino  ha convocato e ricevuto i venti ordini professionali che sono sotto la sua vigilanza. Un resoconto dell’incontro di Antonello Antonelli

Si è da poco concluso l’incontro dei rappresentanti di tutti gli Ordini professionali interessati dalla riforma dei cosiddetti decreti di Ferragosto e “Salva Italia”, convocati ieri quasi improvvisamente dal ministro della Giustizia, Paola Severino. Da quanto sinteticamente ci hanno informato i nostri rappresentanti al tavolo nazionale, la riunione ha riconosciuto il ruolo del tutto particolare dell’Ordine dei Giornalisti ed ha confermato che il 90% delle riforme introdotte toccano solo marginalmente la nostra professione.

Tuttavia il restante 10% è foriero di importanti novità.
Si possono riassumere in quattro macrotemi i pilastri della riforma per i giornalisti:
1) Esercizio della professione consentito solo dopo il superamento dell’esame di Stato;
2) Deontologia professionale vigilata dai “consigli di disciplina” ancora tutti da definire (specie nei costi e chi li dovrà sostenere);
3) Assicurazione professionale obbligatoria;
4) Formazione continua obbligatoria.

Per quanto riguarda il punto 1) la proposta dell’Ordine dei Giornalisti, anticipata questa mattina sull’intervento di Enzo Iacopino sul Corriere della Sera (vedi in fondo n.d.b), pare chiara; mancano solo i dettagli della normativa transitoria che il Consiglio nazionale dovrà stabilire: chi potrà, in sostanza, avvalersi subito del passaggio dai pubblicisti al registro dei praticanti e a quali condizioni. Quanto all’accesso dopo la riforma (che scatta, il ministro lo ha confermato, il 13 agosto prossimo in qualsiasi caso, anche se il Governo non ha posto mano alla regolamentazione, che comunque verrà fatta in accordo con l’Ordine), la proposta messa in campo punta essenzialmente a tutelare i pubblicisti che sono finora iscritti, che continueranno la loro attività professionale (quindi senza grosse rivoluzioni), mentre da settembre chi vorrà intraprendere la professione, sia da pubblicista, sia da professionista, dovrà affrontare un iter formativo molto intenso che si concluderà con l’esame di Stato. Salvati dunque (ed aumentati) gli introiti degli esami a Roma.

Per quanto riguarda il punto 2) il problema non è “ontologico” (vanno bene pure i consigli di disciplina con magistrati e giornalisti svincolati dalla funzione dei Consigli regionali dell’Ordine), ma è “pecuniario”: si tratta, in sostanza, di uno sdoppiamento degli attuali organismi regionali. Chi paga il nuovo “consiglio di disciplina”? Gli stessi Ordini regionali, cioè i giornalisti stessi con le loro quote (che ovviamente dovranno per forza di cosa aumentare)?

Il punto 3) è ancora più sensibile sul fronte dei costi: se l’assicurazione è obbligatoria per tutti coloro che svolgono la professione, a qualsiasi titolo, in qualsiasi contesto, con qualsiasi retribuzione, quindi diventa una sorta di “Rc Auto” del giornalista, essa non si traduce forse in un nuovo balzello per i colleghi, specie i precari e i meno tutelati, già vessati da compensi da fame? Oppure l’Ordine potrebbe stipulare un’assicurazione nazionale, gravando solo di qualche euro sul costo dell’iscrizione annuale (come facciamo in Azione Cattolica, per esempio, aggiungendo 2 euro ciascuno al costo della tessera annuale)?

Quanto al punto 4), sebbene io sia del tutto entusiasta dell’introduzione del principio, occorre secondo me vigilare su chi farà questa formazione permanente, per evitare che diventi un modo facile di arricchirsi per qualcuno offrendo un prodotto qualitativamente basso. Sarebbe opportuno che il Consiglio nazionale “certificasse” e preparasse direttamente i futuri formatori, così da non svendere una necessità così impellente come quella della formazione continua di una classe giornalistica che non ha proprio voglia di aggiornarsi (e si vede con quali risultati deontologici, in particolare).

La proposta Iacopino (via Corriere)

È il momento della responsabilità e del coraggio. Le professioni hanno, senza dubbio, il dovere di dare risposte alle necessità di cambiamento del Paese. Ma è anche il momento della verità. Non per rivendicare sterili diversità o per arroccarsi a difesa di quel che esiste e che lascia insoddisfatti, per primi, proprio noi. Per questo l’ Ordine dei giornalisti offrirà, oggi, al ministro della Giustizia punti fermi di una proposta di riforma, che sarà perfezionata mercoledì dal Consiglio nazionale. La verità impone di affermare che l’ informazione non è merce come altre, anche se qualcuno la tratta così: è un diritto primario dei cittadini, sancito dalla Costituzione ed esplicitamente richiamato assieme a quelli alla salute e alla difesa. I giornalisti non hanno privilegi da conservare. Quanti, per uscire dal vago, sono a conoscenza che alcune migliaia di loro non riescono a mettere insieme più di 5.000 euro l’ anno e che la soglia dei 10.000 euro viene vissuta come una conquista da un gruppo altrettanto numeroso? Quanti sono consapevoli che si può rischiare la vita, minacciati da una delle molte organizzazione criminali, mossi solo dalla voglia di servire i cittadini? E’ accaduto pochi giorni fa, ultimo di un insopportabile elenco, a Giovanni Tizian, a Modena. Vive sotto scorta per una retribuzione oraria pari al 20% di quella di una colf. Non è un errore: il 20%! Il presidente del Consiglio, Mario Monti, lo sa. Così molti ministri. C’ è, nel nostro mestiere, un’ area nella quale sono rinchiusi migliaia di sognatori – professionisti e pubblicisti – che vengono trattati come i raccoglitori di pomodori o di olive. Un «caporale» che li arruola, troppi altri che guardano dall’ altra parte mentre vengono sfruttati. Certo, li trattano con dolcezza: li chiamano precari. Una vergogna che si aggiunge alle altre vergogne. Il dolore che tutto questo provoca dà coraggio. Così nascono le linee di una riforma indifferibile. L’ Ordine dei giornalisti, sia pure con consigli di disciplina autonomi, dovrà far rispettare la deontologia e dovrà creare condizioni per una formazione permanente. A tutela dei cittadini dovrà esserci un garante del lettore (il Corriere è stato, credo, il primo a istituirlo) e c’ è, evidente, la necessità che chi si occupa di materia tanto delicata non completi i suoi studi con l’ esame di Stato, esame che dovrà affrontare chiunque vorrà dirsi giornalista, sia che voglia esserlo in maniera esclusiva, da professionista, sia che scelga, da pubblicista, di affiancare altra professione. Noi vogliamo regole che innanzitutto tutelino i diritti dei cittadini. Chiarendo, subito, che tra i giornalisti non c’ è il numero chiuso e che per diventare professionisti è necessario un tirocinio proprio di 18 mesi che può essere fatto anche attraverso master riconosciuti e attività svolta nelle redazioni. La riforma che vogliamo prevede un albo unico, con i due elenchi (professionisti e pubblicisti) che si formeranno con una opzione da esercitare dopo l’ esame di Stato. E prevede anche una scelta di grande valore morale, che non consiste tanto nella doverosa tutela di quanti oggi sono iscritti nell’ elenco dei pubblicisti, ma punta ad offrire alle migliaia tra di loro, che in questi anni hanno subito mortificazioni non solo economiche, la possibilità di accedere all’ esame di Stato. Ci vuole coraggio, per fare scelte come queste in un momento di difficoltà del settore. Noi lo abbiamo avuto. Occorrerà vedere se il governo Monti saprà averlo o non si rifugerà nella strada più comoda del ragionar per mucchi. Enzo Iacopino Presidente del Consiglio nazionale dell’ Ordine dei giornalisti

1 commento su “Che si sono detti il ministro Severino e i rappresentanti degli ordini (dei giornalisti)”

  1. Esami!
    Lettera aperta al Ministro della Giustizia Paola Severino sulla Professione Forense
    Signor Ministro
    in questo mese grazie al Suo intervento sono sicuro che cambieranno diverse cose nel Sistema Giustizia italiano. Con la presente lettera Le chiedo di intervenire sul problema dell'accesso alla professione forense, in quanto come è noto i meccanismi di ingresso sono basati su logiche che prescindono da un concreto accertamento delle capacità ed attitudini dei candidati. Un esame basato su valutazione discrezionale, insindacabile nel merito da parte dei Tribunali Amministrativi Regionali, scevra da obblighi di motivazione e finalizzata a falciare il numero degli ammessi a beneficio dei potenti, della massoneria, dei figli di papà è una vergogna che il Legislatore italiano dovrebbe abolire. Chiedo una prova trasparente verificabile e idonea. Vorrei che questo Governo si preoccupi di garantire ai praticanti ammessi al patrocinio l'esercizio alla professione seppure parziale per un periodo di tempo che superi i 6 anni.
    La prego di leggere i siti che le propongo. Grazie. Franco R.

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