La Nieman Foundation per il giornalismo dell’Università di Harvard pubblica una rivista trimestrale. Nell’ultimo numero ci sono una serie di appassionati articoli su quello che la stampa può fare per entrare nel futuro digitale. Un’idea sembra aver contagiato tutti: che il giornalismo debba diventare un dialogo, che i quotidiani del futuro debbano essere una conversazione tra giornalisti e lettori, grazie alle reazioni immediate permesse dalla rete.
È una proposta affascinante, ma temo sia frutto di un malinteso. Sia sulla carta stampata sia su internet, i commenti dei lettori sono di due tipi: o sono diretti ai giornalisti o sono scritti per essere pubblicati. Poche persone telefonano in redazione, ma un numero sorprendente di lettori scrive, di solito per raccontare esperienze personali o per criticare.
A me capita anche di ricevere due o tre lettere al mese da persone che avrebbero bisogno di essere curate o rinchiuse. Di solito la busta è coperta di nastro adesivo, l’indirizzo è scritto tutto in maiuscole, e il mittente è convinto di essere spiato dalla Cia. Oppure arrivano cose inquietanti come la foto di una sedia vuota, che mi hanno spedito varie volte l’anno scorso.
Nova diventa tabloid
Mentre tutti i giornali riducono la foliazione per diminuire i costi di carta e fronteggiare la fuga della pubblicità c’è qualcuno che sperimenta strade diverse: fa parte del destino genetico di un supplemento che nell’innovazione e nello sperimentare ha fatto il suo manifesto editoriale Dal prossimo numero Nòva uscirà in formato tabloid.
Apparentemente, nel prossimo futuro vi saranno due tipologie di quotidiani no-profit: quelli che lo sono per scelta, e quelli che lo sono per forza. Da quando nel 2005 ho lasciato il Washington Post – dopo 25 anni in cui ho fatto anche parte del management – e, in particolar modo, da quando mi sono accostato al mondo del no-profit attraverso la New America Foundation e ho iniziato ad imparare gli aspetti manageriali e di raccolta fondi presso le organizzazioni no-profit, ho coltivato questa idea: il Post avrebbe potuto mantenere la vitalità necessaria a svolgere con successo il proprio ruolo di cane da guardia sul sistema costituzionale americano solo trasformandosi in un Fondazione no-profit e raccogliendo donazioni a supporto della redazione, come avviene per le università. Ora David Swensen, responsabile degli investimenti a Yale, e Michael Schmidt, analista finanziario, hanno avanzato una