Stefano Rodotà via Repubblica e MicroMega
Le parole, i toni, l’argomentare sono di fastidio di fronte alla critica, alla discussione pubblica che pure è il sale della democrazia. Pare evidente che Sergio Marchionne voglia mostrare la regola della forza.
Ha ribadito che suo, e soltanto suo, è il potere di vita o di morte su Mirafiori. Una spada gettata su una bilancia già sospetta d’essere alterata. È così eccessivo questo atteggiamento che viene quasi il sospetto che l’amministratore delegato della Fiat voglia favorire il “no” al referendum, per essere finalmente libero di muoversi in un mondo globale dove tutti gli aprono le porte e gli offrono braccia a qualsiasi prezzo. Un referendum, peraltro, che egli stesso svuota del suo significato proprio, visto che ne rifiuta pregiudizialmente uno dei possibili risultati. Lo sappiamo da sempre che è facile volgere a proprio vantaggio una guerra tra poveri. Per sfuggire a un impoverimento che attanaglia un numero crescente di persone, vi è sempre qualcuno che accetta di vendere la sua forza lavoro riducendo garanzie e diritti. È questo il dono del realismo del Terzo Millennio, dove l’efficienza economica cancella ogni altro valore?
Se vogliamo analizzare più in profondo le dinamiche in corso, ci accorgiamo che qualcosa accomuna la vicenda Fiat e quella che riguarda WikiLeaks. Si tratta del modo in cui il potere si sta redistribuendo nel mondo globale, chi lo esercita, chi può controllarlo. E questa novità non si coglie con i soli strumenti tradizionali, riferendosi solo al sistema delle relazioni industriali, alla tutela del segreto di Stato. Bisogna partire dalle logiche alle quali si rifanno i nuovi padroni del mondo, che non si sentono titolari di un potere controllabile e, invece, si muovono ritenendosi investiti di un potere sciolto da ogni vincolo.
Una scritta contro Marchionne con la stella a cinque punte è stata tracciata, con vernice rossa, oggi, a Torino su un grande manifesto pubblicitario nel centro cittadino, sul cavalcavia di corso Sommellier. Altre scritte sono state tracciate, sempre con vernice rossa e sempre con la stella a cinque punte, su due manifesti pubblicitari vicini al primo. “Marchionne fottiti”, c’è scritto sul primo manifesto, mentre sugli altri due ci sono le scritte “Non siamo noi a dover diventare cinesi” e “ma i lavoratori cinesi a diventare come noi”. Sul posto sono intervenuti gli investigatori della Digos che però tendono a escludere collegamenti, più o meno diretti, con presunte o sedicenti Brigate Rosse.